Tutti i libri che hanno ispirato i grandi Classici Disney!

1 Maggio 2020
1 Maggio 2020 regnodisney

Vi siete mai chiesti come sono nati i Classici Disney?
La maggior parte dei film con cui siamo cresciuti nasce da un libro.

Molte delle storie che amiamo esistono da molto prima che Walt Disney cominciasse a inseguire i propri sogni. Alcune, come La Sirenetta, sono note anche nella loro versione originale. Altre, come ad esempio Dumbo e Lilli e il Vagabondo, sopravvivono solo grazie alla trasposizione Disneyana. Ma non tutte le storie Disney nascono dai libri: film come Gli Aristogatti, Le Follie dell’Imperatore, Lilo e Stitch, Ralph Spaccatutto Zootropolis sono storie originali (pertanto, non verranno menzionati in questo articolo). 

Libri Disney

Biancaneve e i sette nani

La storia di Biancaneve è stata scritta dai fratelli Grimm. La prima edizione risale al 1812, ma la versione più celebre è quella della settima edizione (1857). 
Il classico Disney è abbastanza fedele alla storia originale, e certamente ne conserva i toni cupi (Federico Fellini diceva che Walt Disney era un grande autore e sapeva rendere attraenti i particolari più macabri. Ne abbiamo parlato più approfonditamente QUI).
La fiaba comincia in una giornata d’inverno. Una regina, mentre cuce vicino a una finestra con una cornice in ebano, si punge un dito, e vede alcune gocce di sangue cadere sul terreno innevato. Da lì nasce il suo desiderio di avere una bambina dalla pelle bianca come la neve, con i capelli color dell’ebano e le labbra rosse come il sangue. Poco tempo dopo nasce sua figlia, Biancaneve, ed è proprio come lei si augurava che fosse. Tuttavia, la regina muore poche ore dopo il parto e, qualche tempo dopo, il re decide di risposarsi. Il resto, già lo conosciamo.
Oltre a questa introduzione, la Disney ha omesso alcuni tentativi di Grimilde di uccidere Biancaneve, tra cui toglierle il respiro stringendole una cintura in vita e farle passare tra i capelli un pettine avvelenato. L’ultimo tentativo, l’unico che avrà successo, è quello della mela avvelenata. 
Un elemento tipico delle fiabe è la ripetizione per tre volte dello stesso schema, e i fratelli Grimm non sono stati certo i primi a utilizzarlo: ad esempio, William Shakespeare, ne Il Mercante di Venezia, ha collocato i tre scrigni misteriosi (e i tre rituali di corteggiamento di Porzia) a Belmonte, un mondo medievale e fiabesco. Il numero tre, il numero sette e il numero dodici sono di grande significato nelle fiabe, e avrete modo di notare la loro frequenza leggendo questo articolo.
La storia di Biancaneve ha un finale meno romantico di quello ritratto dalla Disney: un principe incontra i nani che vegliano sulla bara di cristallo di Biancaneve, e lui la trova così bella che vorrebbe portare la bara nel suo castello per ammirarla ogni giorno. I servitori si attrezzano per spostare la bara, ma questa cade giù per il fianco di una collina. Biancaneve si risveglia perché, nella caduta, il pezzo di mela avvelenata esce dalla sua bocca. 
La regina cattiva viene invitata alle nozze del principe senza sapere che la sposa è Biancaneve. Essendo costretta a indossare scarpe arroventate su braci di ferro e a ballare per tutto il tempo, dopo un po’ cade a terra morta. In una versione più edulcorata, Grimilde assiste al matrimonio, viene riconosciuta e finisce in prigione, ma Biancaneve le fa visita tutti i giorni perché una persona buona non ha posto per l’odio nel suo cuore. 
Nella prima edizione della fiaba (1812), la regina cattiva non è la matrigna di Biancaneve, ma la madre biologica, che diventa gelosa della bellezza della figlia. In una seconda versione (1819), tutti i tentativi di uccidere Biancaneve vanno a “buon” fine: Biancaneve muore le prime due volte e viene salvata dai nani; la terza volta, invece, sputa il pezzo di mela avvelenata perché un servo che stava trasportando la bara inciampa.
C’è una storia dei fratelli Grimm che si chiama Biancaneve e Rosarossa, ma che non ha nessuna correlazione con questa fiaba. 

Pinocchio

L’autore della storia di Pinocchio è Carlo Collodi. Il racconto è stato pubblicato a puntate tra il 1881 e il 1882, con il titolo La storia di un burattino. La versione completa è uscita nel 1883. 
La versione Disney ha tagliato molti passaggi tetri della storia di Collodi: Pinocchio uccide il Grillo Parlante con un martello, finisce in prigione, fa morire la fata dai capelli turchini (che nel film d’animazione è bionda) e, per finire, viene inghiottito da un pescecane (non da una balena). I tagli sono più che comprensibili poiché la storia è molto lunga, nonché difficile da gestire in ogni particolare in un film di appena 90 minuti. 
Un lungometraggio più fedele al racconto di Collodi è Le avventure di Pinocchio di Luigi Comencini
La storia del burattino nasce nel clima del Positivismo, un movimento culturale che credeva nel progresso e nell’educazione come motore del cambiamento del sistema. Le avventure descritte da Collodi, infatti, sono delle critiche all’istruzione ottocentesca. Pinocchio, da burattino parlante, da prodigio unico nel suo genere, con la morale che acquisisce nel tempo finisce per diventare un ragazzo vero, un ragazzo come tutti gli altri. C’è chi, nell’insieme, coglie questa nota negativa e chi opta per una visione più ottimista, in cui la cultura plasma l’individuo, che da grezzo pezzo di legno diventa una persona in carne e ossa.

Bambi

La storia di Bambi nasce nel 1923 da un racconto dello scrittore austriaco Felix Salten: Bambi. La vita di un capriolo. Esattamente: Bambi, in origine, era un capriolo. Walt Disney, che amava molto questo romanzo, decise di rendere Bambi un cervo dalla coda bianca perché il capriolo non è un animale presente nel continente americano. 
Il lungometraggio animato è molto simile al libro, ma non del tutto fedele.
Nel libro, Faline ha un fratello gemello, Gobo. I tre sono cugini: la mamma di Faline, Ena, è la sorella della mamma di Bambi. Il Grande Principe della Foresta viene chiamato “il Vecchio Principe”, o semplicemente “il Vecchio”. L’uomo viene misteriosamente chiamato “Lui”, con la lettera maiuscola, e tutti gli animali della foresta si guardano bene dal pronunciarsi sulle sue efferatezze. Bambi incontra altri personaggi che nel film non sono presenti, come i due principi Ronno e Karus (Ronno è apparso in Bambi II come il rivale di Bambi), la cerbiatta Marena e la vecchia Nettla
Nella partita di caccia in cui la mamma di Bambi muore, Gobo scompare e tutti lo credono morto. In realtà è stato catturato dagli umani, e torna nel bosco soltanto da adulto per essere ucciso poche settimane dopo. 
Bambi viene cresciuto da Nettla e si innamora di Faline. I due, però, si lasciano presto: Bambi passa la maggior parte del tempo da solo, facendo tesoro degli sporadici insegnamenti del Vecchio. A sue spese, imparerà presto che “Lui” non è onnipotente, che c’è un “Altro” che guarda tutte le creature. 
Bambi è un film certamente triste, ma presenta temi importantissimi come la crescita, la rinascita, quello che verrà poi chiamato il cerchio della vita. Il romanzo è ancora più triste, perché si rifà alla legge spietata della natura. Inoltre, lì non c’è traccia di Tamburino e Fiore. 
Felix Salten ha pubblicato anche un sequel intitolato I figli di Bambi: una famiglia nel bosco (1939). Quest’ultimo non è facilmente reperibile in italiano. 

Musica Maestro, Bongo e i Tre Avventurieri,
Lo Scrigno delle Sette Perle e Le Avventure di Ichabod e Mr Toad

Le informazioni su questi classici Disney sono molto poche.
Per quanto riguarda Musica Maestro, la storia di Casey è ispirata alla poesia Casey at the Bat (1888) di Ernest Lawrence Thayer. La storia Pierino e il Lupo, invece, è un adattamento della composizione Pierino e il Lupo (1936) del musicista Sergej Sergeevič Prokof’ev
In Bongo e i Tre Avventurieri, la storia di Bongo nasce dal racconto per bambini Little Bear Bongo  (1930) di Sinclair Lewis. La storia Topolino e il Fagiolo Magico è ispirata al racconto popolare inglese Jack e la Pianta di Fagioli, conosciuto anche come Giacomino e il Fagiolo Magico
Ne Lo Scrigno delle Sette Perle, la storia di Little Toot è tratta dall’omonimo racconto di Bernhard Gramatky (1939). Alberi nasce dall’omonima poesia di Joyce Kilmer (1914), mentre la storia di Pecos Bill è un adattamento di una serie di racconti di natura pseudo-folkloristica conosciuti come La Saga di Pecos Bill (la cui prima edizione risale al 1917) di Edward O’Reilly. Il personaggio di Pecos Bill è diventato famoso quando i suoi racconti sono diventati fumetti. 
Le Avventure di Ichabod e Mr Toad è composto da due storie. Quella che vede Ichabod Crane come protagonista è ispirata a La Leggenda di Sleepy Hollow (1820) di Washington Irving. La storia di Mr Toad è un adattamento del romanzo per bambini Il vento tra i salici (1908) di Kenneth Grahame.

Cenerentola

La fiaba di Cenerentola è una storia antichissima, che nel tempo è stata diffusa con tante variazioni. La prima versione risale, probabilmente, all’antico Egitto ed è la fiaba che vede Rodopi come protagonista.
Forse Rodopi è veramente esistita. Alcuni credono che il faraone Amasis avesse davvero sposato una schiava greca di nome Rodopi, altri dicono che lei non arrivò al punto di sposarlo, ma che ebbe una vita agiata. In alcune varianti della fiaba, Rodopi non è una schiava, bensì una cortigiana.

Secondo alcune versioni, Rodopi è una bellissima schiava tracia che lavora nell’abitazione del suo padrone egiziano. Il padrone è molto gentile con lei, ma non sa che la ragazza viene maltrattata dalle altre schiave in quanto straniera. 
Dopo averla vista ballare, il padrone le regala delle pantofole d’oro, dono che inasprisce ulteriormente gli animi delle altre schiave.

Un giorno, il faraone Amasis (personaggio storico realmente esistito, vissuto tra il 570 e il 526 a.C.) invita il popolo d’Egitto a una festa nella città di Menfi. Le schiave cercano di non far andare Rodopi alla festa del faraone assegnandole una quantità incredibile di lavori domestici. 
Rodopi sta facendo il bucato e mette le pantofole dorate ad asciugare, quando un falco (non un comune falco, ma il dio Horus trasfigurato) ne prende una. 
Il dio Horus vola fino a Menfi e mostra la pantofola al faraone, che interpreta il gesto come un segno divino e decide di farla provare a tutte le fanciulle del regno, poiché sposerà la ragazza in grado di calzarla. 
Quando il faraone arriva nella casa di Rodopi, lei cerca di nascondersi, ma invano: il faraone l’ha vista, e la esorta a provare la scarpetta, che le va alla perfezione. Così, lui la porta via con sé e la prende in moglie. 

Esiste anche una versione cinese della fiaba, rielaborata nella storia di Ye Xian, dove la mamma di Cenerentola si reincarna in un pesce e viene uccisa dalla matrigna. Qui compare per la prima volta ciò che la Disney rappresenterà come la fata madrina: dato che le sorellastre hanno impedito a Cenerentola di andare alla festa, lo spirito della madre converte le sue lische in stoffe e gioielli. 
In alcune versioni, la scarpetta di Cenerentola viene sostituita da un anello o da un bracciale. 

La prima versione europea della fiaba di Cenerentola si deve a Gianbattista Basile, che nel suo Lo cunto de li cunti (1634-1636) inserì un racconto chiamato La gatta Cennerentola (doppia n dell’autore). In questo libro, Cenerentola si chiama Zezolla e non è certamente candida come la principessa che ci ha fatto conoscere Walt Disney: la protagonista uccide la matrigna, con l’unico risultato di avere una nuova matrigna anche peggiore. 

La versione di Charles Perrault risale al 1697, ed è quella da cui Walt Disney ha tratto maggior ispirazione, nonché la prima in Europa in cui compare la fata madrina (chiamata “la comare” nella traduzione italiana). Il live action di Kenneth Branagh riporta un dettaglio importante di questa versione: alla fine della fiaba, Cenerentola perdona la matrigna.

La versione dei fratelli Grimm (1812), invece, è molto più cupa. La Disney ci ha raccontato questa storia nel film Into the Woods. Come nella versione cinese, non c’è la fata madrina. In questo caso leggiamo di un albero incantato vicino alla tomba della madre di Cenerentola. E le sorellastre e la matrigna non la passano liscia: una figlia si taglia l’alluce, l’altra il calcagno. Il principe scambia prima l’una, poi l’altra per Cenerentola, ma due colombe parlano al principe e gli fanno notare per due volte che la scarpetta è insanguinata. Dopo essere tornato a casa della matrigna al secondo imbroglio e aver visto per ben due volte la scarpa insanguinata (notare ancora una volta l’uso del numero tre nel testo fiabesco), il principe incontra la vera Cenerentola, la prende con sé e la sposa. Le colombe cavano un occhio alle sorellastre.

Alice nel Paese delle Meraviglie

Alice nel Paese delle Meraviglie nasce nel 1865 dalla penna dello scrittore inglese Lewis Carroll.
Anche in questo caso, il classico Disney è la condensazione dei punti salienti del libro. Alice è una bambina di sette anni che sogna un mondo pieno di meraviglie, dove le creature più strane e misteriose parlano dei temi più disparati. Il mondo di Alice è un posto dove la fantasia e la curiosità dei bambini vengono sempre appagati, dove tutto sembra strano, esattamente come ciò che loro non conoscono. 
Al primo impatto questa storia non ha senso, tuttavia è, forse, tra le più cariche di simbologia e significati. Se si considera il Paese delle Meraviglie come l’unico mondo possibile, tutto diventa plausibile e sensato. Ogni lettura della storia ci lascia qualcosa di nuovo, che prima non avevamo notato.
Tra i personaggi non presenti nel classico Disney troviamo: la falsa tartaruga, il grifone, la duchessa brutta, il valletto rana e il bambino maiale. Non troviamo, invece, Pinco Panco e Panco Pinco, che compaiono nel prosieguo letterario del 1871: Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò (noto anche come Alice attraverso lo specchio o semplicemente Attraverso lo specchio). 
In Attraverso lo specchio facciamo la conoscenza di altri personaggi, tra cui Unto Dunto, il leone e l’unicorno, il Re Bianco, la Regina Bianca, il Ciciarampa e il Cavaliere Bianco.
I due live action Disney ci hanno dato modo di esplorare la storia includendo più personaggi, ma l’adattamento più fedele dei due libri è il film di Nick Willig, con Whoopi Goldberg che interpreta lo Stregatto

Peter Pan

Questo film Disney è molto fedele al libro da cui è tratto, e ne tramanda perfettamente l’essenza. 
Il personaggio di Peter Pan apparve per la prima volta nel 1904 in una pièce di James Matthew Barrie intitolata Peter Pan, il ragazzo che non voleva crescere. L’opera teatrale diventò un romanzo sette anni dopo. 

Barrie aveva già accennato alla figura di Peter Pan in una sua opera precedente (L’uccellino bianco). Lo scrittore era molto affezionato ai bambini, e in particolare agli orfani. Nel 1929 lasciò in eredità lo sfruttamento dei diritti d’autore di Peter Pan al Great Ormond Street Hospital, un ospedale pediatrico di Londra. 
C’è una teoria molto popolare tra i fan Disney, e citata nei pensieri della signora Darling, che afferma che Peter Pan potrebbe essere l’angelo della morte che si presenta ai bambini e li accompagna in Paradiso, per far sì che non provino paura. 

In realtà, Peter Pan è il simbolo dell’infanzia negata: James Matthew Barrie perse il fratello maggiore quando aveva sei anni, e la madre, straziata dal dolore, non si riebbe mai. Per farle sentire meno la sua mancanza, lui cominciò ad assumere l’identità del fratello, a diventare di colpo un quattordicenne. In un certo senso, a morire. Ecco perché Peter non vuole salvare gli adulti ma, quando gli va a genio, salva le madri. 

Lilli e il Vagabondo

Lilli e il Vagabondo è un film liberamente ispirato al racconto  del 1924 Happy Dan, the Whistling Dog di Ward Greene, scritto per la rivista Cosmopolitan.
Il film coinvolse lo stesso Greene nella realizzazione, nonostante gli autori Disney avessero in mente di rendere il cane protagonista più cinico rispetto a quello della storia originale. Nel 1953 (due anni prima che uscisse il lungometraggio d’animazione), Walt Disney convinse l’autore a pubblicare un romanzo con la stessa storia del film, una sorta di adattamento dell’adattamento, dal titolo Lady and the Tramp – The Story of Two DogsWalt voleva che il pubblico acquisisse familiarità con il film, e che questo uscisse come un normale adattamento della storia di Ward Greene.
Entrambe le versioni letterarie sono ad oggi irreperibili, e il classico Disney ci ha permesso di conoscere questa dolcissima storia americana che, altrimenti, sarebbe caduta nel dimenticatoio.
Lo stesso vale per la fonte letteraria di Dumbo: il lungometraggio è l’adattamento dell’omonimo racconto per bambini di Helen Aberson. Il film del 1940 e il live action del 2019 sono tutto ciò che ci resta della storia dell’elefantino volante. 

La Bella Addormentata nel Bosco

Anche questa fiaba, diventata popolare grazie alle versioni di Charles Perrault e dei fratelli Grimm, ha origini antichissime. Probabilmente, la prima versione della storia risale al 1340 (da qui l’ambientazione medievale del classico Disney). La fiaba della bella addormentata si troverebbe per la prima volta nel Roman de Perceforest, un romanzo cavalleresco in prosa francese di un autore sconosciuto. Il Roman, suddiviso in sei libri, è collegato al ciclo arturiano e alle imprese di Alessandro Magno. La storia di Troilo e Zellandine (libro terzo) diventerà poi, per mano di altri autori, La bella addormentata. Questa prima versione è, forse, la più macabra: quando Zellandine cade addormentata, Troilo la mette incinta. 

La versione di Gianbattista Basile precede quella di Perrault. La fiaba Sole, Luna e Talia, nel suo Lo cunto de li cunti (1634-1636), introduce due elementi che diventeranno tipici di questo racconto: la profezia e l’arcolaio. Quando il padre della principessa addormentata (Talia) viene sostituito da un altro re, quest’ultimo, in una partita di caccia, trova la ragazza e la mette incinta. Talia mette al mondo due gemelli (Sole e Luna) che, mentre cercano di nutrirsi, succhiano il dito della madre ed estraggono la scheggia dell’arcolaio, che era rimasta sottopelle. Così, la principessa si sveglia e comincia una nuova vita insieme ai figli.
Un giorno, Talia e il padre dei suoi bambini si incontrano. Lui promette che si rivedranno e torna al castello. La regina, gelosa di Talia, ordina a un cuoco di prendere i figli nati dall’adulterio, di cucinarli e servirli al marito; ma il cuoco, impietosito da Sole e Luna, con un inganno offre al re della semplice selvaggina. La regina incalza il marito a mangiare, ma lui si indispettisce e lascia il palazzo. Talia viene invitata al castello, non sapendo che ai servi è stato ordinato di gettarla nel fuoco. La principessa, vestita di un abito prezioso, chiede di potersi spogliare prima di morire, e l’avida regina acconsente. 
Prima che Talia sia uccisa, il re torna al castello e ordina che sua moglie venga gettata nel fuoco al posto della principessa. Dopo aver scoperto gli inganni, il re ricompensa il cuoco per aver risparmiato i gemelli e sposa Talia. 

Ne I racconti di Mamma Oca (1697), Charles Perrault inserisce la fiaba La bella addormentata nel bosco, escludendo dal racconto le violenze sessuali
Ci sono parecchie differenze rispetto al classico Disney: le fate sono sette. Malefica (che non ha un nome e viene chiamata “la vecchia fata”) non viene invitata perché tutti la credono morta. Al battesimo della principessina (che non ha un nome in questa storia), alle fate vengono date delle posate in oro massiccio, mentre per lei non ci sono posate. La cosa viene interpretata come uno sgarbo, e Malefica comincia a borbottare parole di minaccia; così, una fata decide sapientemente di nascondersi dietro una portiera e di dare il suo dono alla bambina per ultima, in modo tale da limitare i danni che la vecchia probabilmente ha intenzione di creare.

Intanto le fate cominciarono a distribuire alla Principessa i loro doni. La più giovane di tutte le diede in regalo che ella sarebbe stata la più bella donna del mondo: un’altra, che ella avrebbe avuto moltissimo spirito: la terza, che avrebbe messo una grazia incantevole in tutte le cose che avesse fatto: la quinta che avrebbe cantato come un usignolo: e la sesta, che avrebbe suonato tutti gli strumenti con una perfezione da strasecolare.
Essendo venuto il momento della vecchia fata, essa disse tentennando il capo più per la bizza che per ragion degli anni, che la Principessa si sarebbe bucata la mano con un fuso e che ne sarebbe morta! Questo orribile regalo fece venire i brividi a tutte le persone della corte, e non ci fu uno solo che non piangesse.

A questo punto, la giovane fata uscì di dietro la portiera e disse forte queste parole:
“Rassicuratevi, o Re e Regina; la vostra figlia non morirà: è vero che io non ho abbastanza potere per disfare tutto l’incantesimo che ha fatto la mia sorella maggiore: la Principessa si bucherà la mano con un fuso, ma invece di morire, s’addormenterà soltanto in un profondo sonno, che durerà cento anni, in capo ai quali il figlio di un Re la verrà a svegliare”.

Perrault, C.; “La bella addormentata nel bosco”. Traduzione di Carlo Collodi.

Il re, dunque, proibisce al popolo di usare gli arcolai. 
Un giorno, i sovrani si allontanano dalla loro dimora. La principessa ha ormai sedici anni e comincia a girovagare tutta sola per il castello. In cima a una torre, la ragazza trova una vecchina che sta filando una rocca, e la profezia si avvera: lei tocca il fuso e cade addormentata.
La fata che ha salvato la vita alla principessa viene chiamata a palazzo, dove lancia un incantesimo su tutto il popolo, che rimarrà addormentato finché la principessa non si sveglierà. Da questo incantesimo sono esclusi il re e la regina, che si impegnano a proteggere il loro territorio. Poco dopo, intorno al castello spunta una foresta di alberi intrecciati così fittamente che nessuno può attraversarla. 
Passano cento anni. Il giovane principe di quel regno (anche lui senza nome), incuriosito dallo strano paesaggio, riesce a passare per quei luoghi indisturbato: gli alberi, addirittura, si ritraggono per liberargli la strada, per poi tornare al loro posto. 
Così, il principe riesce ad entrare nel castello e a baciare la principessa. I due si sposano e hanno due figli: una femmina (Aurora) e un maschio (Giorno). 
Ma i problemi non sono finiti: la mamma del principe viene da una famiglia di orchi, e il padre l’ha sposata soltanto per la dote. Il principe, ormai re, viene chiamato in guerra e lascia la moglie e i figli soli con la madre, che vuole mangiare i due piccoli e la nuora. Il cuoco, impietosito, riesce a ingannarla per tre volte nascondendo le tre vittime e servendole prima un agnellino, poi un capretto e infine una cerva. 
La Regina madre, però, presto scopre l’imbroglio perché sente le voci della nuora e dei nipoti provenire dalla casa del cuoco e, furiosa, ordina che sia allestita una vasca piena di vipere, rospi, ramarri e serpenti dove getterà il cuoco, sua moglie, la serva e i parenti che avrebbe dovuto mangiare.
Il figlio torna appena in tempo per assistere alla scena, e lei si getta nella vasca al posto loro. 

La storia si conclude così: 

Se questo racconto avesse voglia d’insegnar qualche cosa, potrebbe insegnare alle fanciulle che chi dorme non piglia pesci… né marito.
La Bella addormentata nel bosco dormì cent’anni, e poi trovò lo sposo: ma il racconto forse è fatto apposta per dimostrare alle fanciulle che non sarebbe prudenza imitarne l’esempio.


Perrault, C.; “La bella addormentata nel bosco”. Traduzione di Carlo Collodi.

Nella versione dei fratelli Grimm (1812), la storia è intitolata Rosaspina (da qui il nome che le fate assegnano alla principessa nel classico Disney). In questa fiaba, le fate benigne sono dodici. A parte questo (e un ranocchio che profetizza la nascita della principessa Rosaspina alla regina), la storia dei fratelli Grimm non cambia molto rispetto a quella di Perrault. Malefica, che anche qui non ha un nome, non è stata invitata perché il re aveva solo dodici piatti d’oro per le fate (e poi, si sa che il numero tredici non gode di buona reputazione).
I fratelli Grimm, generalmente noti per i dettagli un po’ cruenti nelle loro storie, in questo caso hanno deciso di omettere, oltre alle violenze sessuali, la parentesi di cannibalismo presentata da Perrault e Basile. La storia dei Grimm, infatti, si conclude col matrimonio di Rosaspina e del principe.

La Carica dei 101

La Carica dei 101 è un film ispirato al romanzo I cento e un dalmata della scrittrice inglese Dodie Smith, pubblicato per la prima volta nel 1956.
Il classico Disney è molto fedele al libro, pur essendosi concesso alcune libertà.
La protagonista canina si chiama Missis, e non Peggy, il cui nome per esteso (Perdita) è stato dato alla madre dalmata abbandonata che i Dearly (Anita e Rudy) accudiscono perché Missis non riesce ad allattare i suoi  quindici cuccioli. 
Perdita ha a sua volta un compagno, che si chiama Prince, con il quale ha dato alla luce ottantadue cuccioli. Le due famiglie di dalmati si riuniranno dopo aver svelato il complotto di Cruella De Vil e dopo aver fatto arrestare lei, suo marito e i due complici. I Dearly prendono in custodia anche il gatto di Cruella

La Spada nella Roccia

Il libro che ha ispirato questo film non è affatto scontato. No, non si tratta del ciclo arturiano. O meglio, non proprio. 
La Spada nella Roccia è tratto dall’omonimo romanzo del 1938 di Terence Hanbury White, ovvero il primo volume della tetralogia Re in eterno (completata nel 1958). Il libro esplora la fanciullezza di Re Artù e la storia di Ginevra e Lancillotto, mescolando storia, leggende ed elementi inventati da White.
L’autore ha tratto maggiormente ispirazione da La morte di Artù di Sir Thomas Malory (1470 ca.), ad oggi l’opera arturiana più conosciuta. Questo romanzo è diviso in 21 libri di 507 capitoli ciascuno e, malgrado il titolo, l’opera attraversa tutta la vita di Re Artù.

Mary Poppins

Mary Poppins non è un classico Disney, ma lo abbiamo inserito nella lista perché i suoi libri e i suoi film sono amati da grandi e piccini in tutto il mondo. Il passaggio dei diritti d’autore da Pamela Travers a Walt Disney è ben noto grazie al film Saving Mr Banks
La storia della tata «praticamente perfetta sotto ogni aspetto» è divisa in otto libri, pubblicati tra il 1934 e il 1988: Mary Poppins, Mary Poppins ritorna, Mary Poppins apre la porta, Mary Poppins nel parco, Mary Poppins dalla A alla Z, Mary Poppins in cucina, Mary Poppins in Cherry Tree Lane e Mary Poppins e i vicini di casa

I film Disney (Mary Poppins e Il Ritorno di Mary Poppins) presentano alcune differenze rispetto ai libri: tanto per cominciare, nella versione letteraria Bert non racconta la storia. I Banks non sono una famiglia agiata, e i figli sono quattro (Michael, Jane, Barbara e John); la signora Banks non è una suffragetta; il signor Banks non è un uomo autoritario e consulta la moglie prima di prendere una decisione. Mary Poppins non canta canzoni e non fa incontrare Bert ai bambini: Mary e Bert saltano nel dipinto senza di loro. Nel romanzo, è Jane a inventare la storia della donna dei piccioni. E, ovviamente, “Supercalifragilistichespiralidoso” è una parola che solo Walt Disney ha fatto dire a Mary. 
Mary Poppins ritorna, a differenza de Il Ritorno di Mary Poppins (film del 2018), non è ambientato vent’anni dopo il primo libro, bensì qualche mese dopo. Annabel è la quinta figlia dei Banks, che nasce in questo volume, mentre nel film è la figlia di Michael. Bert non fa ritorno e non compare nessun lampionaio di nome Jack
I libri sono composti da una serie di racconti accomunati soltanto dal personaggio principale; nei film, invece, la storia ha una trama che unisce tutto. 

Anche Saving Mr Banks è un po’ diverso dalla storia di Pamela Travers e Walt Disney. Tra le varie differenze, ci limiteremo a citare la più eclatante: la scrittrice non fu formalmente invitata all’anteprima del film. Dal momento che aveva attaccato i produttori esprimendo le proprie obiezioni con toni non troppo concilianti, Disney pensò che la sua presenza all’anteprima avrebbe complicato le cose. Tuttavia, lei si presentò.
Travers ebbe da ridire anche in sala: trovava che Julie Andrews fosse troppo bella per interpretare Mary, e le lacrime che versò non furono certo di commozione, ma di rabbia: anche durante la proiezione, lei continuò a insistere perché le scene d’animazione fossero tagliate dalla pellicola. Walt Disney le rispose con un laconico: “Pamela, la nave è salpata”
Anni dopo l’uscita dell’adattamento cinematografico, la scrittrice imparò a convivere con quella trasposizione, trovandola un buon film di per sé, ma per niente fedele ai suoi libri. 

Il Libro della Giungla

Il Libro della Giungla è una raccolta di sette racconti dello scrittore Rudyard Kipling, la cui prima edizione risale al 1894. Mowgli è il protagonista delle prime tre storie. 
Il film Disney ha omesso molti personaggi dei racconti, che hanno come protagonisti degli animali antropomorfi, tra cui la mangusta Rikki-tikki-tavi, il topo muschiato Chuchundra, l’uccello sarto Darzee, il cobra Nagaina, la foca bianca Kotick, lo scricciolo Limmershin, la foca Matkah, il pavone Mor, e tanti altri. 
I racconti che hanno avuto più successo sono stati pubblicati anche singolarmente. 
Kipling ha concepito questi animali antropomorfi perché potessero dare delle lezioni pedagogiche e morali e descrivere in maniera più efficace la natura umana. 
Il romanzo è ambientato in India; per la precisione, la maggior parte dei racconti è ambientata a Seoni, nello stato indiano centrale di Madhya Pradesh.
Kipling si è fatto portavoce dell’imperialismo britannico, rendendo le convenzioni sociali del mondo animale l’unico modo per far sì che la coesistenza di tutti gli esseri viventi funzioni. Mowgli scoprirà presto che trasgredire la legge significa rischiare la vita, ma anche che lui è l’unico in grado di determinare e modificare la legge, perché dotato di un’intelligenza superiore. 
Il Libro della Giungla è un invito ai più piccoli ad accettare gli obblighi imposti dalla società, a farsi carico del caos che governa la natura (ovvero le civiltà inferiori). 
Nonostante le accuse di razzismo, la scrittura di Kipling non può non affascinare chi entra nel suo mondo. 

Robin Hood

Il personaggio di Robin Hood è apparso per la prima volta nel 1370 circa, in un poema allegorico di William Langland intitolato Pietro L’aratore (Piers Plowman). 
Il poema descrive i sogni dell’autore attraverso l’apparizione di vari personaggi (tra cui le allegorie della Ragione e della Coscienza) ed esprime i suoi interrogativi sulla ricerca del Bene. 
Non si sa molto sulla figura di Robin Hood: c’è chi afferma che sia veramente esistito, chi ritiene che sia semplicemente una figura leggendaria, chi crede che fosse un bandito e chi un nobile caduto in disgrazia. Che si tratti di fantasia o meno, le voci sulla sua qualità di giustiziere hanno cominciato a circolare quasi due secoli prima del poema di Langland: pare che sia vissuto, infatti, durante il regno di Giovanni d’Inghilterra (tra il 1199 e il 1216), un’epoca in cui il Paese non godeva di prosperità. 
Il classico Disney è ispirato alle diverse leggende tuttora diffuse sul suo conto, in particolare il fatto che “rubasse ai ricchi per dare ai poveri”. 
Le opere letterarie che più hanno contribuito ad alimentare la fantasia su questa figura intrisa di storia e leggenda sono: Ivanhoe di Walter Scott (1820); Robin Hood: Il principe dei ladri, attribuito ad Alexandre Dumas padre (1872, la prima edizione italiana risale al 2010); The Merry Adventures of Robin Hood di Howard Pyle (1883). 

Le avventure di Winnie the Pooh

I film Disney dedicati a Winnie the Pooh sono ispirati ai romanzi di Alan Alexander Milne. Scrittore britannico poliedrico (era anche poeta e giornalista), nel 1925 decise di dedicarsi alla letteratura per ragazzi, e l’anno successivo pubblicò Winnie Puh, un romanzo di dieci capitoli in cui sono trascritte le storie della buonanotte che raccontava a suo figlio Christopher Robin. I protagonisti delle storie sono lo stesso Christopher Robin e i suoi animali di pezza, che oggi sono esposti nella biblioteca pubblica di New York
L’orsetto compare anche in Now We Are Six (un libro di poesie per bambini del 1927) e ne La Strada di Puh (1928). 
La nascita del personaggio letterario di Winnie the Pooh è stata narrata da Simon Curtis nel film Vi presento Christopher Robin, con Domnhall Gleeson e Margot Robbie

Bianca e Bernie

Le avventure di questi due adorabili topini nascono dalla serie di romanzi per bambini dell’autrice inglese Margery Sharp, in particolare dai primi due volumi: Miss Bianca al Castello Nero (1959) e Le avventure di Bianca e Bernie (1962). 
Appartengono alla stessa serie: The Turret (1963), Miss Bianca in the Salt Mines (1966), Miss Bianca in the Orient (1970), Miss Bianca in the Antarctic (1971), Miss Bianca and the Bridesmaid (1972), Bernard il coraggioso (1977), Bernard into Battle (1978). Soltanto i primi due libri e il penultimo della collana sono stati tradotti in italiano. Le edizioni disponibili in lingua originale sono piuttosto vecchie e, va da sé, costose. 
La Società Internazionale di Salvataggio è un’organizzazione di topi che si occupa di salvare e soccorrere le persone rapite. Bianca e Bernard sono due topini che si ritroveranno, insieme, a lavorare per questa organizzazione.

Red e Toby – Nemiciamici

La Disney, per questo film, ha tratto ispirazione dal romanzo The Fox and the Hound (1967), dello scrittore americano Daniel Pratt Mannix IV
Nel libro, Red non viene accudito da nessun umano, e lui e Toby non fanno amicizia. La storia rappresenta la lotta continua tra il cane (l’animale domestico), la volpe (l’animale selvatico) e l’uomo, che per raggiungere i suoi scopi è disposto a sacrificare entrambi. 
Red muore di stanchezza mentre Toby lo insegue e il cane, alla fine del racconto, viene soppresso dal padrone con un colpo di fucile. 
Il libro è stato molto apprezzato dai critici, che l’hanno definito un’opera di notevole spessore psicologico e una meravigliosa evocazione del mondo animale. Non è mai stato tradotto in italiano. 

Taron e la Pentola Magica

Per questo adattamento, la Disney si è vagamente rifatta ai primi due libri della serie Le Cronache di Prydain, dello scrittore americano Lloyd Alexander: Il Libro dei Tre (1964) e Il Calderone Nero (1965). 
I libri successivi sono: Il castello di Llyr (1966), Taran il girovago (1967) e Il Sommo Re (1968). 
Le Cronache di Prydain sono, a loro volta, ispirate ai Mabinogion, un insieme di testi in prosa provenienti da manoscritti medievali del Galles, che raccontano eventi storici dell’Alto Medioevo e miti e leggende tramandati dall’Età del Ferro. Questa raccolta è l’opera letteraria più importante della storia gallese, una fonte più o meno diretta del ciclo arturiano. 

Basil L’investigatopo

La fonte diretta di questo classico Disney potrebbe sembrare scontata, ma non lo è: non si tratta del personaggio di Sherlock Holmes, ideato da Sir Arthur Conan Doyle. Per realizzare il film, gli autori hanno tratto ispirazione, principalmente, dalla serie di romanzi per ragazzi Basil of Baker Street di Eve Titus
La serie è divisa in cinque volumi, mai tradotti in italiano, scritti tra il 1958 e il 1982: Basil of Baker Street, Basil and the Lost Colony, Basil and the Pygmy Cats, Basil in Mexico e Basil in the Wild West.
La scrittrice Catherine Hapka nel 2018 ha cominciato a lavorare a un prosieguo della storia di Basil, per il momento suddiviso in tre volumi: Basil and the Big Cheese Cook-Off (2018), Basil and the Royal Dare (2019) e Basil and the Library Ghost (in uscita a maggio 2020). Neanche gli episodi più recenti sono disponibili nella nostra lingua. 

Basil e il suo biografo David Q. Dawson vivono in una colonia di topi al 221B di Baker Street, sono coinquilini di Sherlock Holmes e risolvono misteri proprio come lui.
L’investigatore di Conan Doyle spesso usava il nome Basil per il suo alias, come ad esempio ne Le Avventure di Black Peter, ma l’autrice ha battezzato così il suo protagonista in omaggio a Basil Rathbone, che ha interpretato Sherlock Holmes diverse volte. 

Oliver & Company

Oliver & Company è una trasposizione in chiave felina (e canina) del romanzo Oliver Twist di Charles Dickens (1838). 
Il film è ambientato a Manhattan negli anni Ottanta, mentre il libro è ambientato nella Londra dell’Ottocento. La versione Disney è decisamente la più originale, nonché la più edulcorata: nel romanzo Oliver non sopporta i ladruncoli di Fagin, mentre nel lungometraggio fa amicizia con loro. Inoltre, il film d’animazione risparmia la vita a Fagin.
La piccola Jenny rappresenta la famiglia che, alla fine del romanzo, adotta Oliver. 

 

La Sirenetta

La Sirenetta è un film ispirato all’omonima fiaba di Hans Christian Andersen, pubblicata per la prima volta nel 1837.

“In mezzo al mare l’acqua è azzurra come i petali dei più bei fiordalisi e trasparente come il cristallo più puro; ma è molto profonda, così profonda che un’anfora non potrebbe raggiungere il fondo; bisognerebbe mettere molti campanili, uno sull’altro, per arrivare dal fondo fino alla superficie. Laggiù abitano le genti del mare.”

(Andersen, H. C.; “La Sirenetta”)

Nella versione originale, la Sirenetta vive nel fondo del mare con suo padre (il Re del Mare), sua nonna e cinque sorelle. A quindici anni, come da tradizione nel mondo marino, le viene concesso di nuotare fino in superficie per guardare il mondo sopra il mare. È così che conosce un bellissimo principe al comando di una nave, e se ne innamora. 
La nave viene travolta dalla tempesta, ma la Sirenetta riesce a salvare il principe e a portarlo sulla terraferma. Lui perde conoscenza e non ha modo di vederla. 
La principessa sogna di essere un’umana per poter stare con il principe, di avere un’anima e una vita eterna come gli umani. In qualità di sirena, il suo destino è quello di dissolversi in schiuma marina.
Decisa a procurarsi un’opportunità di conquistare il principe, si rivolge alla Strega del Mare, che le dà una pozione per trasformarsi in umana. Ma a questo mondo tutto ha un prezzo: la strega chiede la sua voce e le taglia la lingua. Camminare per lei sarà dolorosissimo, come essere trapassata da coltelli. Infine, non potrà mai più tornare ad essere una sirena. Se il principe la sposerà, la Sirenetta otterrà un’anima e resterà un’umana. Se, invece, sposerà un’altra donna, il giorno dopo le nozze la principessa morirà e si trasformerà in schiuma di mare. 
La ragazza beve la pozione e incontra il principe, che è attratto da lei, ma questa attrazione non si trasforma in vero amore perché lei non può parlare (e, di conseguenza, comunicare efficacemente).
Un giorno il principe va in cerca di una potenziale moglie in un regno vicino e incontra una ragazza. Ricordandosi di lei come della ragazza che lo ha salvato dal naufragio, se ne innamora. Presto i due annunciano le nozze.
La notte prima delle nozze, le sorelle consegnano alla Sirenetta un pugnale magico, comprato dalla Strega del Mare in cambio dei loro capelli. Se lei ucciderà il principe con quel pugnale e bagnerà i propri piedi nel suo sangue entro l’alba, sopravvivrà e potrà tornare ad essere una sirena. Ma la Sirenetta è davvero innamorata del principe e si rifiuta di ucciderlo; così, al mattino si dissolve in schiuma di mare. 
La sua bontà viene ricompensata: la ragazza non muore, ma diventa figlia dell’aria, invisibile. Otterrà un’anima e volerà in Paradiso se compirà trecento anni di buone azioni. Per ogni bambino buono che troverà, lei avrà un anno di attesa in meno. Per ogni bambino cattivo, invece, piangerà, e ogni lacrima varrà un giorno di attesa in più.

La fiaba è un’espressione del dolore provato dallo scrittore in occasione del matrimonio di Edvard Collin, un amico del quale era innamorato. Andersen, come la Sirenetta, non poteva esprimersi liberamente, non aveva più una voce. Anche lui, come la protagonista della sua storia, non poteva dichiarare l’amore puro che provava. In questa storia è racchiusa tutta la simbologia dell’amore impossibile: i due protagonisti appartengono a mondi diversi, l’amore non è corrisposto perché non può essere comunicato, e infine la Sirenetta svanisce trasformandosi in schiuma di mare, l’elemento da cui è nata Afrodite, la Dea dell’Amore. 

Ariel prende il nome dall’omonimo personaggio de La Tempesta di William Shakespeare. In quest’opera, Ariel (nome tradotto in italiano come Ariele) è uno spirito dell’aria, e il suo personaggio era interpretato da un attore specializzato nelle parti di giovani donne. 

La Bella e la Bestia

La Bella e la Bestia ha origini molto antiche: si pensa che la prima versione di questa storia sia Amore e Psiche (racconto che si trova ne Le Metamorfosi di Apuleio, risalente al II secolo d.C.).
Alcuni studiosi ritengono che la versione successiva alla storia di Apuleio sia uno dei 75 racconti che compongono Le Piacevoli Notti (1550) di Giovanni Francesco Straparola. Altri, invece, la attribuiscono a Gianbattista Basile, che avrebbe scritto una storia molto simile ne Lo cunto de li cunti (1634). 

Anche Perrault, nel 1697, pubblicò la sua variante, in cui Bella è figlia unica (apparentemente, è la sola versione che presenta Belle senza fratelli e sorelle) e suo padre è un mercante caduto in disgrazia. I due si trasferiscono in campagna per avere una vita più affine alle loro condizioni economiche. 
Ciò che varia rispetto alle altre versioni è il patto tra la Bestia e il padre della ragazza dopo che la rosa è stata colta: se lui non porterà sua figlia al castello, dovrà tornare tre mesi dopo e morire lì. Pur non volendo sacrificare la figlia, decide di accettare quelle condizioni per avere ancora tre mesi con lei. 
Questa è anche l’unica variante in cui la protagonista cerca di convincere la Bestia a cambiare l’accordo, a scioglierlo o, in alternativa, a prendere entrambi con sé. Per la prima volta appaiono gli oggetti incantati (tra cui un cembalo), e lo specchio magico che mostra le altre persone. La Bestia, inoltre, prima che lei torni dal padre, le regala un anello incantato che la riporterà subito a casa. Quando vorrà tornare al castello, dovrà appoggiarlo sul comodino. Questo particolare tornerà anche nelle versioni di Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve e Jeanne-Marie Leprince de Beaumont.

La Bestia è stata immaginata in tanti modi: alcuni scrittori francesi raccontavano che fosse un serpente. Una visione alquanto singolare di questo personaggio ci è stata fornita da Marie-Catherine d’Aulnoy nella raccolta I racconti delle fate (1697), più precisamente con la fiaba Il Montone
Un re ha tre figlie bellissime, ma la minore è così bella da essere chiamata Meravigliosa. Il padre la preferisce alle altre, ma nonostante i favoritismi, lei ha un buon rapporto con le sorelle. 
Il re parte per la guerra e torna vincitore. Dopo aver riabbracciato le figlie, chiede loro che cosa hanno sognato la notte prima del suo ritorno. La maggiore ha sognato di ricevere in dono dal padre un abito d’oro e diamanti più splendente del sole; la seconda ha sognato di ricevere una conchiglia dorata per filare; Meravigliosa ha sognato il matrimonio del re con la seconda delle sue sorelle, e che il giorno del matrimonio, lei è incaricata di lavarli con una brocca d’oro. 
Il padre si ritira nelle sue stanze, indispettito da quell’ultimo racconto, credendo che la figlia che lui ama di più sia quella che lo ama di meno. Queste considerazioni lo portano a ordinare che Meravigliosa venga condotta nella foresta e uccisa. Come prova della sua morte, il re chiede al capitano delle guardie che gli venga consegnata la lingua della principessa. 
Il capitano va a prendere Meravigliosa e la conduce nella foresta, insieme a due amici animali (un cane e una scimmia), che parlano grazie all’incantesimo di una fata, e a un’ancella. Essendo affezionato alla ragazza, lui confessa il piano del padre, e la scimmia e l’ancella si uccidono perché la principessa sia risparmiata. Ma le loro lingue non possono essere utilizzate, così anche il cane si uccide. Mentre il capitano delle guardie taglia la lingua del cane, Meravigliosa seppellisce i suoi amici.
Nella foresta, la ragazza trova un bellissimo montone, che la porta in una caverna grazie a una zucca gigante trasportata da capre. Nelle profondità di questa caverna c’è un regno incantato, popolato da animali, fate, ninfe e piante indescrivibili. 
Un giorno, il montone racconta a Meravigliosa di essere stato trasformato in animale da una fata, perché lui non ricambiava il suo amore. Anche le altre creature che vivono nella caverna sono persone che hanno offeso la fata. Il montone le dichiara il suo amore, confessando di osservarla già da tempo. Ogni volta che, in passato, la principessa si inoltrava nella foresta per giocare con le sue amiche o per fare una passeggiata, lui sperava di vederla. Anche lei si innamora del montone.
Meravigliosa si allontana dalla caverna quando viene a sapere che sua sorella sta per sposare un principe. Vorrebbe assistere alle nozze, e promette al montone di tornare quanto prima. 
Suo padre è convinto che lei sia morta e non la riconosce. Spaventata, la ragazza se ne va, perdendo per sbaglio una scatoletta di gioielli destinati alla sposa. Il re è attratto dalla sua ricchezza e ordina che i cancelli vengano subito chiusi per impedirle di andarsene, nel caso in cui lei faccia ritorno.
Passano i mesi, e la seconda sorella di Meravigliosa sta per sposarsi. Il montone ha un brutto presentimento, ma la lascia partire ugualmente. Durante le nozze, accortosi di lei, il re fa chiudere i cancelli. La ragazza si spaventa perché pensa che il padre l’abbia riconosciuta e vorrebbe scappare di nuovo, ma il re le chiede di partecipare al banchetto offrendole una bacinella d’oro per lavarsi le mani. 
La situazione è così simile al suo sogno che Meravigliosa esce allo scoperto, facendogli notare che, dopotutto, non c’era niente di minaccioso in ciò che aveva sognato tanto tempo prima. 
Pentito del male che le ha causato, il re le cede la corona. Meravigliosa diventa regina e riabbraccia le sorelle, ma scopre che l’uomo che le aveva salvato la vita è morto. Felice di essere tornata dalla sua famiglia, la regina comincia a raccontare della caverna e del montone.
Nel frattempo, tormentato dall’angoscia, il montone pensa che Meravigliosa non lo ami più, e che non farà più ritorno. Così, si reca al castello e chiede di vederla, ma il permesso gli viene negato per paura che lei abbandoni il regno per fuggire con il montone. Il povero animale viene scorto da Meravigliosa durante una parata in suo onore quando ormai è già morto di dolore. Anche lei prova così tanto dolore da sentire di dover morire. 

La versione della fiaba che oggi conosciamo è quella di Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, che nel 1740 pubblicò una raccolta di racconti (La jeune américaine et les contes marins) in cui era presente La Bella e la Bestia
Un ricco mercante caduto in disgrazia ha sei figli e sei figlie. Cercando di recuperare una delle sue navi, miracolosamente sopravvissuta alla tempesta, si dirige in città. Ma gli affari vanno di nuovo male, e al ritorno non ha con sé né i ricchi doni chiesti dalle figlie maggiori, né la rosa voluta da Bella, la figlia minore, invidiata e odiata dalle altre sorelle. 
Prima di tornare a casa, il mercante passa per il bosco e giunge presso un castello apparentemente disabitato. Eppure, una volta entrato, scopre che c’è un’abbondante cena ad attenderlo. Dopo aver cenato, si ferma in giardino a cogliere una rosa per la figlia minore, ma viene sorpreso dalla Bestia (un mostro ricoperto di squame e con la proboscide) che, offesa, gli fa promettere di mandare lì una delle sue figlie entro un mese. 
Bella si offre di andare al castello, dove viene accolta calorosamente. A suo padre, invece, viene proibito di rimettere piede in quel luogo (in compenso, riceve un baule pieno di oggetti preziosi). 
La ragazza passa il tempo con gli animali che si trovano in quel luogo, tra cui scimmie e pappagalli ammaestrati, e presto impara che la Bestia ha un carattere molto mite. Il mostro le chiede ogni sera di coricarsi insieme, ma lei rifiuta. 
Un ragazzo bellissimo visita Bella in sogno, insieme a una fata, ed entrambi la invitano a non giudicare dalle apparenze. Un giorno, lei riconosce il giovane dei suoi sogni in un dipinto, e pensa che lui sia prigioniero nel castello. Dopo aver saputo dalla Bestia che in realtà loro due sono i soli ad abitare quel posto, lei gli chiede il permesso di rivedere i suoi parenti. Le vengono concessi due mesi lontano dal castello.
Bella parla molto bene della Bestia, e suo padre la invita a sposarla per mostrarsi riconoscente, anche se lei è innamorata di un altro. Dopo aver sognato la Bestia agonizzante, Bella decide di tornare da lei. Una volta giunta al castello, scopre che il mostro è in fin di vita perché soffre la sua assenza. Solo allora Bella capisce di amarlo, e così accetta di sposarlo e di coricarsi con lui. 
Il mattino dopo, la ragazza trova accanto a sé il ragazzo che le è apparso in sogno: un principe. I due vengono raggiunti dalla madre della Bestia e dalla fata che ha sognato, e Bella viene messa al corrente di tutta la storia: il principe è stato allevato da una fata mentre sua madre era in guerra. La fata (non quella apparsa in sogno a Bella) voleva sposare il principe ma, essendo brutta, vecchia e malvagia, è stata rifiutata. Così, lo ha condannato ad essere una Bestia finché una ragazza lo avesse amato senza conoscere la verità. 
Tuttavia, la madre del principe non approva questa unione, dal momento che Bella non è una ragazza nobile. Il tutto si risolve quando si scopre che Bella è in realtà la figlia del fratello della Regina (Re dell’Isola Felice) e della sorella della fata che si trova in quella stanza. Sua madre ha trasgredito le regole delle fate sposando un umano prima del tempo, perciò è stata imprigionata dalle altre fate e creduta morta dal marito (potete trovare delle citazioni a questa parte della storia leggendo la Twisted Tale As Old As Time. Per leggere la nostra recensione, cliccate QUI).
Nei panni di una Regina in cerca di asilo, la fata malvagia è andata nell’Isola Felice con l’intento di sposare il Re, ma è stata rifiutata. Così, ha deciso di uccidere la figlia del sovrano, che è stata salvata da una fata buona, zia della piccola, ovvero quella che ora si trova lì davanti a lei. Bella è stata scambiata con la figlioletta appena morta di un ricco mercante, ma su di lei grava una maledizione: deve sposare un mostro. La zia si è adoperata per far avverare la profezia sciogliendo la Bestia dal suo incantesimo, mentre la fata malvagia è stata spogliata dei suoi poteri. 
Il matrimonio dei due giovani viene celebrato con le famiglie riunite e la madre della fanciulla, finalmente, liberata. 
Nel live action del 2017, la città in cui Belle vive è stata chiamata Villeneuve per omaggiare l’autrice del racconto. 

La fonte diretta del classico Disney del 1991 (e del live action), però, è una versione più breve della favola di Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, scritta nel 1756 da Jeanne-Marie Leprince de Beaumont.
In questa versione, i figli del mercante sono sei. La Bella è la figlia minore, e ama molto leggere. 
Le uniche differenze con la storia di Madame de Villeneuve consistono nel dono dello specchio magico da parte della Bestia (grazie a quel dono, la Bella scopre che suo padre è malato e chiede alla Bestia di tornare a casa) e nell’invidia che le sorelle provano nei confronti della Bella, a tal punto da pregarla di restare ancora un po’ con loro quando lei scopre (grazie a un sogno) che la Bestia sta morendo di dolore e, quindi, di dover tornare presto al castello.
Questa fiaba non descrive la Bestia come un mostro con la proboscide e pieno di squame, non racconta della fata buona e della fata cattiva, né della mamma della Bella. Qui ritorna anche lo specchio magico introdotto da Perrault, oltre all’anello, che si trova anche nella versione precedente. 
La storia si conclude con la fata che trasforma in statue di pietra le sorelle della ragazza, costrette ad assistere alla felicità altrui finché non si pentiranno dei loro peccati. 

Alcuni studiosi suggeriscono che La Bella e la Bestia potrebbe essere una fiaba ispirata a personaggi storici realmente esistiti, come Petrus Gonsalvus (1537-1618), nobile spagnolo affetto da ipertricosi che sposò Catherine, una donna bellissima, ritenuta damigella d’onore di Caterina de’ Medici. I due ebbero sei figli, di cui quattro affetti da ipertricosi come il padre. 

Aladdin

Aladdin è basato principalmente su Le Mille e Una Notte, una raccolta anonima in arabo di novelle indo-persiane cominciata nel X secolo. La redazione dell’opera come oggi la conosciamo può essere collocata tra il XV e il XVIII secolo, in Egitto. 
Questo libro, però, è giunto in Occidente solo nel 1704 grazie alla riscrittura (e alla personalizzazione) in francese dell’orientalista Antoine Galland
La storia-cornice dell’opera è quella del re Shahriyār, che dopo aver ucciso la moglie adultera sposa ogni sera una nuova donna, per poi metterla a morte al mattino. Shahrazād, la figlia del visir, intrattiene il re con un racconto ogni sera e, dopo “mille e una notte”, lei lo sposa e diventa regina. 
Il numero 1001 non è da intendersi in senso letterale: in arabo, “mille” significa “innumerevoli”, quindi 1001 dà al libro un senso di infinito. Alcuni compilatori hanno interpretato letteralmente questo numero e hanno aggiunto altre fiabe alla raccolta, fino ad arrivare a mille. 
La parte che ci interessa è la fiaba Aladino o La Lampada Meravigliosa

Shahrazād racconta che una città della Cina vive Mustafà, un sarto molto povero, con un figlio di nome Aladino. Quando il ragazzo compie dieci anni, il padre decide di portarlo con sé per insegnargli il mestiere, ma Aladino è uno scavezzacollo e ne approfitta sempre per combinarne di tutti i colori quando sa che il padre non può vederlo. 
Il sarto, addolorato per i problemi causati dal figlio, un giorno si ammala e muore. La madre, sapendo di non poter contare su Aladino, si affretta a vendere la bottega con tutto ciò che contiene e a lavorare giorno e notte per mantenere se stessa e il figlio. 
Gli anni passano e le cose non migliorano. Aladino ha ormai quindici anni quando incontra un mago africano famoso e potentissimo, versato nell’arte dell’astrologia, capace, con le sue arti, di smuovere le montagne. Questi afferma di aver conosciuto Mustafà, di essere stato per lui come un fratello; dopodiché, gli dà dieci monete d’oro con la richiesta di portarle alla vedova insieme alla notizia che lui, lo zio, andrà a cena da loro la sera successiva. 
Aladino si precipita a casa per raccontare a sua madre dell’incontro con lo zio, ma lei pensa che il figlio la stia prendendo in giro, giacché Aladino aveva un solo zio, morto molti anni fa.
Il giorno dopo Aladino esce di casa e incontra nuovamente il mago, che gli dà altri due denari perché la vedova prepari un pasto sostanzioso per quella sera. Il ragazzo torna a casa e consegna i soldi alla madre, ripetendogli che lo zio ha intenzione di presentarsi a cena, e la donna si convince che forse il marito aveva un fratello che lei non ha ancora conosciuto. 
Lo zio bussa alla porta, e la madre di Aladino lo accoglie. Il mago spiega che non vede il fratello da trent’anni, poiché solo in questi giorni ha rimesso piede in patria. Negli ultimi trent’anni ha vissuto in diverse zone dell’Oriente, tra cui l’India e l’Egitto. È tornato in Cina soltanto per riabbracciare il fratello prima di morire, ma una volta giunto, ha scoperto di essere arrivato troppo tardi. Insieme, i due piangono il defunto e ne parlano con dolore. 
Una volta appreso che Aladino è un perdigiorno e che non ha imparato il mestiere del padre, l’uomo si offre di procurargli un lavoro da mercante e una bottega ben fornita al suk dei drappieri. Aladino accetta, e già si immagina ricco e pieno di bei vestiti. Con quel gesto, la vedova si convince che lui è proprio suo cognato, poiché un estraneo non spenderebbe mai del denaro per una persona come Aladino. 
Il giorno seguente, il mago porta Aladino a comprare un vestito nuovo e ricco perché fin da subito sia un mercante presentabile. I due cominciano a girare per il suk, dove l’uomo gli spiega i vari segreti della mercatura. A fine giornata, alcuni mercanti di sua conoscenza vengono invitati a una cena in onore di Aladino suo nipote, che presto diventerà mercante. 
L’indomani Aladino e lo zio escono dalla città.

«Giunsero finalmente fra due montagne di mediocre altezza e quasi eguali, divise da una vallea di poca larghezza, sito notabile dove il mago aveva voluto condurre Aladino per l’esecuzione d’un gran disegno che avealo fatto venire dall’estremità dell’Affrica sino in China. — Siamo giunti,» diss’egli ad Aladino; «qui voglio farvi vedere cose straordinarie e sconosciute a tutti i mortali, e quando le avrete vedute, mi ringrazierete d’essere stato testimonio di tante maraviglie, che nessuno al mondo avrà mirato fuor di voi. Mentr’io batto l’acciarino, adunate fra tutti i ramoscelli, che qui vedete, quelli che vi parranno i più secchi, per accendere il fuoco. «Eravi tal quantità di quei ramoscelli, che il giovanetto n’ebbe in breve fatto un mucchio più che sufficiente, mentre il mago accendeva l’esca. Vi appiccò il fuoco, e nel momento che i rovi infiammavansi, il negromante vi gettò sopra un profumo che tenea preparato. Se ne levò tosto un fumo densissimo, ch’egli divideva da una parte e dall’altra, pronunciando parole magiche, alle quali Aladino nulla comprese.» […]
«nel punto stesso tremò alquanto la terra, e spalancatasi in quel sito davanti al mago e ad Aladino, mostrò allo scoperto una pietra di circa un piede e mezzo in quadrato, e d’un piede circa di altezza, posta orizzontalmente, con un anello di bronzo saldato nel mezzo, onde valersene per sollevarla. Aladino, spaventato di quanto accadevagli davanti agli occhi, n’ebbe paura, e volle darsi alla fuga: ma era necessario a quel mistero, ed il mago lo trattenne e sgridollo fieramente, dandogli uno schiaffo sì forte che lo gettò per terra, e poco mancò non gli schiantasse i denti davanti, come apparve dal sangue che uscivagli dalla bocca. Il povero Aladino, tutto tremante e colle lagrime agli occhi:  —Zio,» gridò piangendo, «che cosa vi feci mai per meritare che mi batteste sì duramente?— Ho le mie ragioni per farlo,» riprese il mago. «Sono vostro zio: ora vi tengo vece di padre, e non dovete rispondere. Ma, figliuolo,» soggiunse, raddolcendosi, «non temete di nulla; vi chieggo soltanto che mi obbediate esattamente, se volete approfittar bene e rendervi degno de’ grandi vantaggi che voglio farvi.» Le belle promesse del mago calmarono alquanto il timore ed il risentimento di Aladino, e quando l’altro lo vide rassicurato al tutto: — Avete veduto,» continuò, «ciò che ho fatto in virtù del mio profumo e delle parole da me pronunciate. Sappiate dunque adesso che sotto la pietra che qui vedete, trovasi un tesoro a voi destinato, e che deve rendervi un giorno più ricco de’ più potenti re della terra. E ciò è tanto vero, che non v’ha persona al mondo fuor di voi cui sia permesso di toccare quella pietra e levarla per entrarvi; mi è anzi proibito di toccarla e metter piede nel tesoro, quando sarà aperto. Laonde è d’uopo che voi facciate esattamente ciò che sono per dirvi, senza mancare; la cosa è d’alta conseguenza per amendue noi. […]»

Autori Anonimi; Storia di Aladino o La Lampada Meravigliosa; “Le Mille e Una Notte”. Traduzione di Francesco Falconetti

Sognando la ricchezza di cui parla lo zio, Aladino accetta. L’uomo gli ordina di scendere in fondo alla fossa, afferrare l’anello di bronzo e sollevare la lastra di marmo pronunciando il proprio nome insieme a quello di sua madre e suo padre. Il ragazzo obbedisce, e si ritrova davanti all’imboccatura di un sotterraneo con una dozzina di scalini che giungono fino a una porta. 

 — Figlio,» disse allora il mago ad Aladino, «osservate esattamente quanto sono per dirvi. Discendete in questa buca; quando sarete giunto al basso dei gradini, troverete una porta aperta, la quale vi condurrà in un ampio sotterraneo a volta, diviso in tre grandi sale, una dopo l’altra. In ciascuna vedrete, a destra ed a sinistra, quattro vasi di bronzo grandi come tini, pieni d’oro e d’argento, ma guardatevi bene dal toccarli. Prima di entrare nella prima sala, alzatevi la veste, ed assicuratevela bene alla cintola. Entrato che sarete, passate nella seconda, e quindi nella terza, senza mai fermarvi. Sopra tutto, guardatevi dall’avvicinarvi alle pareti e toccarle nemmeno cogli abiti; se le toccaste, morreste sul momento; è per questo che vi dissi di tenervela stretta bene alla vita. In capo alla terza sala, c’è una porta che mette in un giardino pieno di begli alberi, tutti carichi di frutti; camminate dritto, ed attraversate il giardino per una strada che vi condurrà ad una scala di cinquanta gradini per salire sur una terrazza. Giunto sulla terrazza, vedrete a voi davanti una nicchia, e nella nicchia una lampada accesa; prendete quella lampada, spegnetela, e gettatone via il lucignolo e versato il liquido, mettetela in seno e portatemela. Non abbiate paura di macchiarvi l’abito: il liquido non è olio, e quando non ve ne sia più, la lampada sarà asciutta. Se vi facessero voglia i frutti del giardino, potete coglierne quanti volete; ciò non vi è vietato. —

Autori Anonimi; Storia di Aladino o La Lampada Meravigliosa; “Le Mille e Una Notte”

Ciò detto, il mago gli consegna un anello dicendogli che lo salverà nel caso in cui dovesse capitargli qualcosa di spiacevole. Aladino obbedisce alle indicazioni dello zio, ma una volta presa la lampada, si ferma ad osservare il giardino, il quale è pieno di piante cariche di pietre preziose di ogni tipo. Aladino non conosce il valore delle pietre preziose e pensa che quelli appesi agli alberi siano frutti di vetro colorato; così, comincia a raccoglierne più che può, con l’intenzione di giocarci a casa. 
Dopo un po’ torna dallo zio. Appesantito dalle pietre, non riesce a salire l’ultimo gradino, e gli chiede una mano. Lui risponde di consegnargli prima la lampada, perché potrebbe essere quella a impacciarlo. Aladino ribatte che, in realtà, ha i vestiti pieni di vetro, ed è per questo che non riesce a salire. 
L’africano, che ha portato il ragazzo fin lì unicamente per prendere la lampada, comincia a rimproverarlo. Ma vedendo che Aladino non si smuove, getta del profumo sul fuoco che aveva attizzato, pronuncia altre formule magiche, fa ricadere la lastra al suo posto e ricopre il tutto di terra. L’Africa è la terra dei peggiori di maghi che esistano, e quel mago è giunto fino in Cina perché da tempo cerca una leggendaria lampada, raggiungibile — così gli hanno detto le tavole geomantiche — solo tramite un ragazzo di nome Aladino. 
Deluso, il mago torna nel suo paese. Il giovane, invece, piange disperato per due giorni. Al terzo, rassegnato al suo destino, comincia a pregare Allah. Pregando, involontariamente strofina l’anello che il suo presunto zio gli ha dato, e che ha dimenticato di riportare con sé. Dall’anello spunta un genio spaventoso, grandissimo. 
Aladino, per la paura, fa un balzo indietro, mentre il genio gli spiega che lui è il servitore di chiunque porti al dito l’anello. Senza pensarci, il ragazzo gli chiede di farlo uscire dalla caverna, se ne è in grado. In un secondo si ritrova fuori, e torna da sua madre, che già lo credeva morto.
Il ragazzo le racconta tutto e le mostra ciò che ha raccolto nel giardino, ma essendo anche lei cresciuta in un ambiente molto povero, non fa molto caso a quegli strani frutti e non si accorge che sono pietre preziose. 
Il giorno dopo, Aladino si sveglia con la voglia di fare colazione, ma la madre ha finito le provviste la sera prima preparandogli la cena; così, il ragazzo prende la lampada con l’intenzione di venderla al mercato e comprare del cibo. La donna sfrega l’oggetto per pulirlo, e dalla lampada esce un genio (diverso da quello dell’anello) che gli chiede di esaudire un desiderio. Aladino, dunque, desidera che gli venga portato del cibo, e subito dopo il genio si presenta con dodici piatti d’argento pieni di prelibatezze. 
Dopo aver mangiato, madre e figlio discutono dell’accaduto. La vedova non vuole avere niente a che fare con i geni, che il profeta definiva “demoni”, e preferirebbe vendere la lampada e l’anello. Aladino crede che i geni possano rivelarsi molto utili e non vuole liberarsene, perciò le promette di tenere l’anello e la lampada al sicuro, e che la madre non li incontrerà di nuovo. 
Una volta finito il cibo che il genio ha portato, e che è bastato per diversi giorni, Aladino vende a un ebreo i piatti d’argento, e quando i soldi per le provviste finiscono, sfrega la lampada una seconda volta perché il genio gli riporti da mangiare.
Il cibo finisce per la seconda volta e Aladino torna dall’ebreo, ma sulla strada incontra un orefice che gli mostra il vero valore del piatto (settantadue volte il prezzo pagato dall’ebreo). Comprendendo di quanto è stato defraudato, il ragazzo vende tutti i piatti all’orefice, cosa che permette a lui e a sua madre di non saltare nessun pasto per diversi anni.
Grazie a queste pratiche, Aladino diventa davvero un uomo abile negli affari
Un bel giorno d’estate, Aladino si trova vicino alla reggia in cui abita il sovrano con la sua bella figlia Badru l-budūr (il suo nome significa “luna piena delle lune piene”). Passa un banditore, che ordina di chiudere le botteghe e di serrarsi in casa poiché la principessa sta per passare di là. Aladino si nasconde per osservare Badru l-budūr, di cui si innamora perdutamente al primo sguardo. Ormai travolto da questo nuovo sentimento, decide di sposarla. 
Il ragazzo manda sua madre dall’imperatore insieme ai frutti che — dopo tanto tempo ha capito — hanno un inestimabile valore, per dimostrare di avere una certa solidità economica. Dopo aver atteso per sette giorni, alla donna viene concesso di esprimere la sua proposta.
Il sovrano si confida con il gran visir, il quale spera che la principessa vada in sposa a uno dei suoi figli. Il visir gli consiglia di guadagnare tempo, e così l’imperatore risponde che acconsentirà alle nozze soltanto se entro tre mesi riceverà la dote da parte di Aladino.
Prima dello scadere dei tre mesi, la madre di Aladino sente per caso che sono state fissate le nozze della principessa con il figlio del visir. Il ragazzo allora chiama il genio e gli ordina di portare lì i due novelli sposi dopo che si saranno ritirati nelle loro stanze per trascorrere la prima notte di nozze, insieme al loro letto. 
Il genio obbedisce e poi chiude lo sposo nel bagno, come ordinato dal giovane. Aladino spiega alla principessa la promessa infranta dal padre, dopodiché si corica insieme a lei, volgendole le spalle. A separarli, una scimitarra, che preserverà l’onore di entrambi.
L’indomani, il ragazzo fa riportare i coniugi nella loro camera. Badru l-budūr racconta l’accaduto a sua madre, ma non viene creduta. Quella notte, l’episodio si ripete, e il giorno dopo i genitori degli sposi riescono a farsi raccontare tutto quanto. Il figlio del visir, timoroso che la cosa possa ripetersi tutte le sere, chiede l’annullamento del matrimonio, che viene loro concesso. 
La madre di Aladino torna dal sovrano per ricordargli la promessa, e lui, per non dare sua figlia in sposa al figlio del sarto (e al tempo stesso rispettando l’impegno), pensa di chiedere l’impossibile esigendo quaranta barili d’oro massiccio, pieni di gemme dello stesso valore di quelle portate tre mesi prima. Aladino, grazie al genio, manda all’imperatore esattamente ciò che ha chiesto; dopodiché, viene invitato a corte, dove giunge insieme a sua madre in sella a destrieri bellissimi, in abiti preziosi e circondato da serve che gettano monete d’oro al suo passaggio.
Il sovrano fa la conoscenza del suo futuro genero e ne rimane colpito. Il genio, obbedendo a un ordine di Aladino, costruisce un palazzo sontuosissimo dove i due sposi andranno ad abitare, con ventiquattro finestre adornate di gemme. Colpita dalle sue ricchezze e dal suo bell’aspetto, la principessa acconsente a sposarlo. 
Il giovane diventa un consigliere del sovrano, e passano alcuni anni pieni di gioia.
Nel frattempo, il mago, tornato nel Magreb, riesce a scoprire grazie alla divinazione sulla sabbia che Aladino è riuscito ad uscire dalla caverna, che ha sposato la principessa ed è diventato ricco, e tutto grazie alla lampada che gli spetta di diritto. Così, escogita un piano per vendicarsi ed appropriarsi, finalmente, della lampada: tornato in Cina, si traveste da venditore ambulante e si reca vicino al palazzo mentre Aladino è uscito per una battuta di caccia. Si rivolge ai servi chiedendo loro se vogliono barattare delle vecchie lampade a olio con lampade nuove. Una fantesca si ricorda della vecchia lampada di Aladino e si affretta a portargliela, fiutando l’affare. 
Il mago sfrega la lampada e ordina al genio di portare in Africa il palazzo e tutto ciò che contiene, principessa compresa. L’imperatore, sconvolto, fa rientrare Aladino, lo fa arrestare e chiama un boia per giustiziarlo. Attorno al palazzo si affolla il popolo, che chiede la liberazione del figlio del sarto. Il suocero lo risparmia, ma gli ordina di riportare in Cina sua figlia entro quaranta giorni per evitare la pena capitale. 
Aladino ha perso la lampada, ma ha ancora con sé l’anello magico, perciò lo sfrega e chiama l’altro genio, al quale chiede di annullare il sortilegio del mago. Questi, però, non può contrastare le magie del genio della lampada, così il giovane si fa portare in Africa. 
Dopo essere entrato nel palazzo, cerca sua moglie e viene a sapere che lei ha creduto di essere rimasta vedova, e che il mago vuole sposarla. Aladino le dice di assecondarlo e di invitarlo a cena. Nel frattempo, si procura un potente sonnifero in polvere, che Badru l-budūr verserà nella coppa del mago.
Tutto procede secondo i piani, e il mago si addormenta. Aladino lo decapita, si riprende la lampada e torna in Cina con la moglie, dove vengono lungamente celebrati.
Il mago assassinato ha un fratello, anch’egli negromante, che scopre del delitto grazie alla divinazione sulla sabbia. Per vendicare il fratello ucciso, raggiunge la Cina, dove viene a conoscenza di un’eremita di nome Fatima che dispensa grazie. Dopo essere entrato in casa sua di notte e aver preso i suoi abiti, la uccide. Travestito come lei, esce in strada e viene subito circondato dal popolo, che non si accorge di niente. Tutti insieme si dirigono al palazzo di Aladino. 
La falsa Fatima, interpellata sul palazzo, commenta che la dimora più bella del mondo dovrebbe avere un uovo di roc appeso al lampadario della sala grande. A detta dell’eremita, il roc è un uccello di prodigiosa grandezza, che abita sulle più grandi vette del monte Caucaso. La principessa riferisce tutto al marito, che chiede al genio l’uovo di cui ha parlato la santona. Il genio emette un urlo terrificante. Per sua fortuna, la richiesta non è stata fatta da Aladino, ma da altri: il cosiddetto uovo di roc altro non è che un padrone infernale, e la richiesta di appenderlo al lampadario avrebbe dovuto scatenare l’ira del genio e fargli incenerire la casa con tutti i suoi abitanti. Dato che il genio sa come stanno le cose, non obbedisce; anzi, avverte Aladino della presenza del mago travestito. 
Aladino va dalla finta Fatima e, con grande velocità, uccide il negromante prima che lui possa aggredirlo.
“E vissero tutti felici e contenti”.

Il Re Leone

La fonte principale de Il Re Leone è La Tragedia di Amleto, Principe di Danimarca di William Shakespeare (scritta tra il 1600 e il 1601, rappresentata per la prima volta nel 1609). 
Il film Disney ha molti punti in comune con la tragedia, ma anche tantissime differenze. 
Mufasa, il saggio re morto di morte violenta, che appare al figlio come un fantasma, è il Re Amleto. In questa versione, lo spirito non cerca vendetta, ma vuole che il figlio si prenda le sue responsabilità.
Simba, il principe distrutto dalla morte del padre e in preda a profonde crisi esistenziali, è Amleto. Il classico Disney ci presenta un volto del dolore diverso da quello descritto nella tragedia: la negazione, la fuga da ciò che fa star male.
Nala, innamorata del principe, è Ofelia (che fortunatamente non si annega).
Scar, il sovrano fratricida, è il Re Claudio.
Sarabi, la madre del principe, è Gertrude. Nel film, lei non sposa il nuovo Re; perciò, non attira su di sé l’odio del figlio, come invece accade nell’opera originale.
Timon e Pumbaa, i due amici del principe, nonché spalle comiche, sono Rosencrantz e Guildenstern (che nella tragedia shakespeariana non crescono Amleto).
Orazio, l’amico fedele che conduce il principe dallo spirito del padre, è Rafiki
Polonio, l’irritante consigliere reale, è Zazu (che nel film non viene ucciso). 
Nel classico Disney manca la figura di Laerte, anche se lo scontro finale tra Simba e Scar rappresenta il duello di Amleto e Laerte nell’ultimo atto. 

La differenza sostanziale tra le due opere è il modo in cui è stato affrontato il tema della morte: mentre ne Il Re Leone la morte è una fase del Cerchio della Vita, Shakespeare avanza l’ipotesi che dopo la morte non ci sia niente, e che non sempre nella vita ci sia possibilità di redenzione — quella che, fortunatamente, viene concessa a Simba. 
Anche Il Re Leone II — Il Regno di Simba è ispirato a una tragedia shakespeariana: L’Eccellentissima e Lamentevolissima Tragedia di Romeo e Giulietta

Pocahontas

Pocahontas non è basato su un’opera letteraria, ma sulla vita di un personaggio storico realmente esistito.
Pocahontas (1595 ca.-1617) era una donna nativa americana. Era la figlia di Powathan, che governava un’area in quello che oggi corrisponde allo Stato della Virginia
Nel 1607, quando i coloni inglesi arrivarono in Virginia, la ragazza salvò un capo dei coloni condannato a morte, parandoglisi davanti. Era John Smith di Jamestown. Lui stesso raccontò la storia in una lettera alla Regina Anna. Questa lettera è l’unica fonte dell’episodio, e da secoli è calata un’ombra di scetticismo sull’accaduto: lo scritto risale, infatti, al 1616, e la lettera era mirata a lodare Pocahontas perché fosse trattata con rispetto. 
Indipendentemente da ciò che accadde davvero, il rapporto tra i nativi e la colonia di Smith fu pacifico fino al 1608, quando i coloni mirarono all’espansione e gli indigeni cominciarono a temere per la loro terra. 
In quel periodo, Pocahontas gli salvò la vita una seconda volta: Powathan invitò i coloni per discutere il da farsi, ed essendosi fatto tardi, gli inglesi (comandati da John Ratcliffe) dovettero trattenersi nel villaggio per trascorrere la notte. Pocahontas corse ad avvertirli, poiché il padre aveva intenzione di farli uccidere una volta che avessero deposto le armi per cenare. 
L’anno successivo, Smith rimase ferito e fu costretto a tornare in Inghilterra. Gli indigeni (e Pocahontas) lo credettero morto, ma lei lo incontrò di nuovo in Inghilterra dopo aver sposato John Rolfe, un coltivatore di tabacco molto religioso. Non esiste nessuna testimonianza storica sulla presunta storia d’amore tra Pocahontas e John Smith.
Pocahontas, prima di sposare Rolfe, si convertì al cristianesimo, fu battezzata e cambiò il suo nome in Rebecca

Il Gobbo di Notre Dame

Il Gobbo di Notre Dame è la trasposizione cinematografica di Notre-Dame de Paris, un romanzo storico di Victor Hugo (1831). 
Il film Disney non è molto fedele al libro, e manca di alcuni personaggi secondari che, nella storia originale, contribuiscono a mandare messaggi molto forti.
Tanto per cominciare, il poeta Pierre Gringoire (che nell’opera omonima al romanzo scritta da Luc PlamondonRiccardo Cocciante ha il ruolo di narratore) non c’è, e la sua funzione viene in parte assolta da Clopin, padre adottivo di Esmeralda. Gringoire è un poeta che non riesce ad avere il successo che vorrebbe, un uomo mediocre e vigliacco che sopravvive a tutte le tragedie di cui è testimone. Esmeralda acconsente a sposarlo per evitare che i gitani lo uccidano, ma lui si affeziona più a Djali che a sua moglie.
Un altro personaggio mancante è Paquette la Chantefleurie, la mamma di Esmeralda. I gitani hanno rapito sua figlia quando era molto piccola, e lei non si è mai più ripresa dal trauma. La ragazza porta al collo una scarpetta, mentre la madre conserva con sé l’altra. Si riconoscono verso la fine del romanzo, quando decidono di appaiarle. Paquette muore di dolore, aggrappata ad Esmeralda, mentre l’innocente zingara viene impiccata. 
Il personaggio più importante tra quelli assenti nella pellicola, però, è Fiordaliso, una nobildonna che è stata promessa in sposa a Febo. Lui la tradisce e si infatua di Esmeralda, ma dopo l’impiccagione della gitana, il ragazzo la sposa. Nel romanzo si creano due triangoli amorosi (fondati su un amore non corrisposto): quello tra Quasimodo, Esmeralda e Frollo e quello tra Esmeralda, Febo e Fiordaliso. 
Ci sono alcune differenze che riguardano anche i personaggi principali: Quasimodo è rimasto sordo per via del forte rumore delle campane che deve suonare ogni giorno, ed è quasi muto. Claude Frollo, arcidiacono di Josas, è anche un alchimista. Questi attenta alla vita di Febo quando porta Esmeralda in una camera presa in affitto. Esmeralda non è la donna forte che il classico Disney del 1996 ci ha mostrato: è una ragazza di quindici anni un po’ ingenua, spesso inconsapevole del fascino che esercita, e che non farebbe del male a nessuno. Si possono riscontrare molte somiglianze con il personaggio di Lucia Mondella (I Promessi Sposi), come ad esempio il fatto che entrambe rifiutano di concedersi a un potente tiranno. Esmeralda muore sulla forca: Frollo è ossessionato da lei e, dopo l’attentato a Febo, la sottopone alla tortura dello stivaletto. Il dolore provato è tale che la ragazza confessa di averlo pugnalato, anche se non è vero. Lui le offre la possibilità di sottrarsi alla forca fino all’ultimo momento, se si concederà a lui, ma lei rifiuta. 
Il romanzo termina con una scena straziante: dopo tanti anni, lo scheletro di Quasimodo viene ritrovato abbracciato a quello di Esmeralda. Lui è morto con lei, amandola più e meglio di tutti. 

Hercules

Il film Hercules nasce dal mito Greco di Eracle. Il primo a trascrivere questo mito è stato Omero, che nelle sue opere ne ha citato alcuni passaggi.
Figlio di Zeus e Alcmena, regina di Tirinto, Eracle scatena la collera e la gelosia di Era ancor prima di nascere. Alcmena abbandona il figlio appena nato per paura della violenta reazione di Era. Il piccolo viene trovato da Era e Atena durante una passeggiata. Intenerita, la moglie di Zeus gli offre il suo latte; dopodiché, Atena riporta il bambino da Alcmena, che lo riconosce e lo tiene con sé. Grazie al latte di Era, Eracle può diventare immortale. Ma lei, rendendosi conto che il bambino che ha salvato è il figlio di suo marito fedifrago, manda due serpenti per ucciderlo. Eracle è così forte che riesce a strangolare i serpenti. 
Anfitrione, marito di Alcmena, resta colpito dalla forza del bambino e fa predire il suo futuro. La vita di Eracle si mostra ricca di grandi imprese; perciò, il padre adottivo si cura di farlo crescere in salute, colto e pieno di valori. Impara a suonare la lira, a tirare con l’arco, e presto decide di mettere le sue capacità e la sua forza a disposizione del mondo. 
Gli dei dell’Olimpo gli sono molto affezionati (Eracle li ha anche aiutati nella lotta contro i Giganti) e vorrebbero concedergli l’immortalità, ma Era non dimentica, ed è ancora accecata dall’odio. Eracle otterrà l’immortalità soltanto dopo aver superato dieci prove imposte da Euristeo, il suo acerrimo nemico in concorrenza con lui per il trono di Tirinto. 
Lui non approva questa decisione e, colto da un attacco d’ira (alimentato dal potere di Era), distrugge tutto ciò che trova e arriva persino a uccidere alcuni amici, nonché i suoi figli (alcune versioni discordano su questo punto: in alcuni scritti, Eracle uccide soltanto i figli, in altri anche la moglie Megara. Pare che l’attacco d’ira di Eracle fosse dovuto anche al fatto che Megara, in sua assenza, era stata violentata da Lico, persecutore della famiglia di Creonte, padre di Megara. In alcune versioni in cui sopravvive, Megara costringe il marito al suicidio e viene data in sposa a suo nipote Iolao). 
Ritrovato il senno, Eracle decide di affrontare le dieci prove, che diventano dodici perché Euristeo accampa scuse per considerarle non valide. 
Così, hanno luogo: l’uccisione del leone di Nemea, l’uccisione dell’idra di Lerna, la cattura della cerva di Cerinea, la cattura del cinghiale del monte Erimanto, la pulizia delle stalle di Augia, l’uccisione degli uccelli del lago Stinfalo, la cattura del toro di Creta, la cattura delle giumente di Diomede, la conquista della cintura di Ippolita, la cattura dei buoi di Gerione, la conquista dei pomi d’oro del giardino delle ninfe Esperidi e la cattura del cane Cerbero. 
Una volta tornato a casa, a Tebe, Megara non vuole più vederlo. Perciò, Eracle cerca una nuova compagna. Dopo aver combattuto con Acheloo (dio di un fiume), sposa Deianira, principessa di Calidone, pur essendo attratto anche da Iole, figlia del re di Tessaglia
Un giorno Deianira, mentre guarda il fiume, accetta di salire in groppa al centauro Nesso, il quale cerca di rapirla. Eracle lo uccide, ma prima di morire il centauro le suggerisce di intingere nel suo sangue una veste del marito per assicurarsi la sua fedeltà. Deianira segue il suo consiglio e quando, mesi dopo, Eracle mostra l’intenzione di abbandonarla per stare con Iole, gli fa indossare la veste ricoperta del sangue di Nesso. 
Il centauro, però, ha mentito: Eracle comincia a sentire il proprio corpo devastato dal veleno e un dolore insopportabile, così chiede che si costruisca un rogo per morire. Deianira, tormentata dal senso di colpa, si toglie la vita. Il giovane viene tratto in salvo da Atena, che lo porta sull’Olimpo. Lì sposa Ebe, divinità della gioventù, che gli conferisce l’eterna giovinezza. 

Essendo un mito, la versione originale (ammesso che sia mai esistita) non è pervenuta fino a noi, e ad oggi circolano più varianti. Pare che la versione più diffusa sia quella in cui Megara sopravvive ed Eracle finisce con lo sposare Ebe.
Nel classico Disney molti episodi sono stati omessi o edulcorati, ma ci sono anche tante chicche e citazioni che gli amanti dei miti Greci certamente apprezzeranno. 

Mulan

Mulan è l’adattamento di un’antica leggenda cinese raccontata in un poema del VI secolo d.C., La Ballata di Mulan. Come per la maggior parte delle leggende, il testo originale non esiste più, e le versioni ancora in circolazione presentano qualche differenza. 
Si ipotizza che l’autore del poema sia Liang Tao, scrittore e filosofo cinese. 
Ci sono alcune differenze tra la leggenda — o meglio, le versioni che sono pervenute fino a noi — e il classico Disney: per prima cosa, non si fa alcun accenno a Mushu. Ecco perché nel live action, che promette di essere più fedele alla leggenda, non è stato inserito. Inoltre, Mulan ha una sorella minore, Youlan
Dopo dodici anni di combattimenti contro gli Unni, Hua Mulan diventa generale e poi comandante delle armate settentrionali, senza mai far scoprire ai soldati che, in realtà, è una donna che ha deciso di combattere al posto del padre, ex condottiero anziano e malato. 
La guerra finisce quando Mulan batte un famigerato generale unno. Dopo la guerra le viene offerto il ruolo di alto funzionario, ma lei lo rifiuta per tornare a casa dal padre. La sua vera identità viene scoperta a causa di alcune discussioni con un comandante, che le offre ripetutamente la figlia come sposa. All’ennesimo rifiuto, l’uomo si reca a casa sua e scopre la verità, ma da quel momento ha ancora più rispetto di lei. 
Nel 1695, Chu Renhuo ha pubblicato un romanzo storico dal titolo Sui Tang Romance, che aggiunge dei particolari al passato di Mulan e fornisce alcuni colpi di scena. Secondo questa storia, Mulan si suicida per non servire un imperatore straniero. 
Le sue ultime parole sono:

Sono una donna, sono sopravvissuta alla guerra e ho visto tante cose. Adesso voglio solo stare con mio padre.

Un cratere di Venere porta il nome di Hua Mulan, a riprova dell’importanza e del forte impatto culturale di questa leggenda. 

Tarzan

Tarzan è un film ispirato principalmente  al primo romanzo del Ciclo di Tarzan: Tarzan delle Scimmie (1912-1914) dello scrittore americano Edgar Rice Burroughs. Il Ciclo è composto da 24 romanzi, tra cui 8 mai tradotti e uno (Tarzan and the Madman) mai tradotto e pubblicato postumo. 
L’epilogo di Tarzan delle Scimmie è un po’ diverso dal classico Disney: Tarzan (che significa “pelle bianca” nel linguaggio immaginario delle scimmie) impara il francese dall’ufficiale D’Arnot, che ha organizzato una spedizione per salvare la naufraga Jane ed è rimasto ferito dalla tribù locale.
Tarzan decide di abbandonare la sua terra per seguire Jane negli Stati Uniti, dove la salva da un incendio e da un matrimonio combinato con un anziano affarista. Pur essendo innamorata di Tarzan, la ragazza decide di sposare Lord William Clayton Greystoke (ignaro cugino di Tarzan, i cui genitori si chiamavano John e Alice Clayton Greystoke). 

Atlantis — L’impero perduto

Per la realizzazione di Atlantis, gli autori Disney si sono ispirati a due opere: Ventimila leghe sotto i mari (1870) dello scrittore francese Jules Verne e il Timeo di Platone (circa 360 a.C.). 
Ventimila leghe sotto i mari è un romanzo che anticipa il genere della fantascienza, ambientato subito dopo la guerra di secessione. 
Il Capitano Nemo costruisce in segreto il sottomarino Nautilus, e con esso si avventura nel mare. Un temutissimo mostro marino affonda tutte le navi che incontra, e il Professor Pierre Aronnax prende parte alla spedizione in cui si cercherà di liberare i mari dal mostro una volta per tutte. Le vite del Capitano e del Professore si incroceranno, e insieme vedranno i resti sprofondati del continente di Atlantide.
Il Timeo, invece, è un dialogo platonico in cui vengono descritte le origini del mondo a opera del Demiurgo

Il Pianeta del Tesoro

Questo film è un libero adattamento del romanzo di formazione L’Isola del Tesoro (1883) di Robert Louis Stevenson
Il narratore è Jim Hawkins, che trova la mappa del tesoro del Capitano Flint insieme a sua madre e si imbarca sulla nave del Capitano Smollett. Grazie all’avventura sull’Isola del Tesoro diventa un uomo maturo. L’antagonista della storia è Long John Silver (che costituisce anche il personaggio più complesso, non essendo completamente buono ma neanche completamente cattivo. Con Silver, l’autore dimostra che spesso non c’è una morale assoluta). 
Il classico Disney aggiunge una chiave steampunk alla storia, introducendo robot e macchinari all’avanguardia in un’ambientazione che rispecchia l’Inghilterra vittoriana: ad esempio, nel romanzo Long John Silver ha una gamba di legno, mentre ne Il Pianeta del Tesoro è un cyborg

Chicken Little

Chicken Little è ispirato a un racconto popolare europeo che ha diversi nomi: Henny Penny, Chicken Little o Chicken Licken
Essendo un racconto popolare, col tempo si sono diffuse diverse versioni. La più celebre è quella raccontata anche nel classico Disney: un pulcino ritiene che il mondo stia per finire e che il cielo stia cadendo quando una ghianda atterra sulla sua testa. Decide di avvertire il re, e nel viaggio incontra altri animali (perlopiù uccelli) che si uniscono a lui. Il finale più ricorrente è quello in cui una volpe mangia tutti gli animali, insegnando a non credere a tutto ciò che ci viene detto.
Questa storia, infatti, descrive la paranoia e l’isteria di massa

I Robinson

A ispirare questo film è stato il libro illustrato A Day with Wilbur Robinson (1990) di William Joyce. Purtroppo, non è disponibile in italiano.
Il classico Disney si distacca quasi completamente dal libro. Le capigliature di Lewis e Wilbur sono fedeli al racconto, così come le caratteristiche fisiche degli altri personaggi, a eccezione del padre di Wilbur. 
Il nome della scuola di Lewis, ovvero la Joyce Williams Elementary School, è un omaggio all’autore. 

 

La Principessa e il Ranocchio

La fonte diretta di questa storia è la fiaba umoristica Incantesimi, baci, ranocchi & principesse (2002) di E.D. Baker. La protagonista è Emma, una principessa non convenzionale che odia la routine delle persone di sangue blu e non ama il suo promesso sposo. L’oggetto del suo amore è un ranocchio che vive nel suo stagno. I due vivranno varie peripezie tra proposte di matrimonio, streghe e pozioni. 
Questo libro è, a sua volta, ispirato alla fiaba tradizionale europea del Principe Ranocchio o Enrico di Ferro, la cui versione più nota è quella dei fratelli Grimm. La prima edizione della storia risale al 1812, ma la fiaba come la conosciamo oggi è il frutto della settima (e ultima) edizione curata dagli autori. 
Un re ha molte belle figlie, ma la più giovane supera in bellezza tutte le altre. Lei è solita giocare con una palla d’oro nella foresta nelle ore più calde del giorno.
Un giorno, però, la palla d’oro cade in acqua e sprofonda. La principessa piange, e un ranocchio le si avvicina per consolarla. I due arrivano a un accordo: lui le riporterà la palla se i due staranno sempre insieme e faranno amicizia. 
Una volta recuperata la palla, la principessa scappa via, senza alcuna intenzione di mantenere la promessa fatta. 
L’indomani, mentre lei mangia con suo padre, la rana bussa alla porta e le ricorda dei patti stabiliti il giorno prima. Il re rimprovera la figlia, dicendo che bisogna sempre mantenere le promesse. La principessa e il ranocchio cominciano a mangiare dallo stesso piatto, ma lei è troppo disgustata per terminare il pasto serenamente. 
Per stare sempre insieme, devono anche dormire nello stesso letto. Tuttavia, alla ragazza non piace per niente questa prospettiva e posiziona l’animaletto sul bordo del letto, quando dovrebbe dormire accanto a lei, sul cuscino. Dopo averla minacciata di spifferare tutto al re, la rana viene scaraventata sulla parete e, come per incanto, si trasforma in un principe
Lui racconta che i due sono promessi in matrimonio, ma per via di una maledizione ad opera di una strega cattiva, nessuno a parte lei avrebbe potuto liberarlo dal sortilegio. 
Il giorno dopo sono attesi nel regno del suo promesso sposo, e una carrozza con otto cavalli bianchi li attende. Nella carrozza c’è Enrico, il fedele servo del principe, che dopo aver visto il suo padrone tramutato in rana si è fatto mettere tre cerchi di ferro intorno al cuore perché non scoppiasse di dolore. Quando rivede il principe, con grande rumore, i cerchi di ferro gli saltano via dal cuore per la felicità. 

Esiste un’antica fiaba popolare russa, La Principessa Rana, dove i ruoli sono invertiti (il fatto che sia Tiana a trasformarsi in rana, dunque, non è una novità). 
Secondo un rituale, i principi devono scoccare casualmente una freccia, e nel punto in cui cade troveranno la loro sposa. Sfortunatamente, il principe Ivan trova una rana, Vasilisa, ed è costretto a sposarla. A differenza delle mogli dei suoi fratelli, la rana riesce a superare tutte le prove a cui lo zar la sottopone, grazie a diversi trucchi (in alcune versioni grazie alla magia, in altre grazie a una bambinaia). Ivan e Vasilisa vengono invitati a un banchetto, e lei si presenta come una ragazza bellissima. Così, il marito brucia la sua pelle di rana, ma la principessa sparisce insieme alla pelle. 
Il principe, disperato, si mette in cammino per cercare di ritrovare sua moglie. Una volta arrivato nel più lontano dei regni, incontra un vecchio che gli suggerisce di lanciare una palla e inseguirla fino alla casa di una strega. 
La strega gli dà istruzioni ancora più complesse, che Ivan esegue con il timore che la sua amata sposi un nuovo pretendente. In alcune versioni, Vasilisa si trova nel palazzo di Koščej l’immortale, un antagonista della mitologia slava, spesso rappresentato come un uomo anziano. 
Dopo varie prove, il principe riesce a trovare la principessa e a portarla via con sé. 

Rapunzel — L’intreccio della torre

Questo classico Disney è ispirato alla fiaba di Raperonzolo.
Non è semplice ricollocare la prima versione della storia. Alcuni studiosi ritengono che questa fiaba sia nata in Italia con il nome di Petrosinella, ne Lo cunto de li cunti di Gianbattista Basile (1634) e resa nota in tutto il mondo grazie alla versione del 1812 dei fratelli Grimm. Altri ritengono che i primi elementi di questo racconto risalgano al mito greco di Danae

Nella variante di Basile, una donna gravida chiamata Pascadozia ha voglia di prezzemolo (il nome Petrosinella viene da lì: in napoletano il prezzemolo viene chiamato ‘o petrusino). Così, va più volte a raccoglierlo nel giardino di un’orca. Un giorno viene scoperta e l’orca, per vendicarsi, minaccia di ucciderla se non le verrà consegnato il nascituro. La donna accetta, e mesi dopo nasce una bimba bellissima, che viene chiamata Petrosinella perché ha un ciuffo di prezzemolo sul petto.
La bambina cresce, e Pascadozia la manda da una maestra. Nel tragitto che la porta a casa, Petrosinella incontra sempre l’orca, la quale ordina di ricordare a sua madre la promessa. La donna, spazientita, un giorno dice alla figlia (ignara dell’accordo) di rispondere all’orca: “Prenditela!”.
Così, il giorno dopo, l’orca rapisce Petrosinella e la rinchiude in una torre lontana in mezzo al bosco, senza porte. L’unico punto di accesso è una finestrella, e vi si può arrivare soltanto utilizzando i lunghi capelli della piccola per arrampicarsi. 
Il tempo passa, e un giorno da quelle parti si trova il figlio di un principe, che rimane stregato dalla bellezza della ragazza. I due cominciano a parlarsi da lontano, e dopo un po’ decidono di incontrarsi. Ma possono farlo solo di notte: così, Petrosinella addormenta l’orca con un sonnifero, cala giù le trecce e passa la notte con il suo amato. Al mattino, lui torna nella foresta. 
I due giovani si incontrano tutte le notti, finché una comare dell’orca non se ne accorge e decide di avvertirla. L’orca è tranquilla, perché ha fatto a Petrosinella un incantesimo che le impedisce di fuggire a meno che non abbia con sé tre ghiande, nascoste in una trave della cucina. 
La ragazza sente tutto e, dopo essersi procurata le ghiande, fugge di notte con il principe. Purtroppo vengono notati dalla comare, che strilla così tanto da svegliare l’orca, e comincia un inseguimento. Petrosinella getta una ghianda per terra e ne viene fuori un cane feroce, che l’orca ferma dandogli da mangiare una pagnotta. Così la giovane getta la seconda ghianda, che fa apparire un leone. Ma correndo, l’orca scortica un asino che pascola in un prato e, con la sua pelle addosso, rincorre il leone, che fugge via impaurito. 
Petrosinella, vedendo di nuovo l’orca dietro di sé, lancia la terza ghianda, da cui esce un lupo. Poiché ha ancora la pelle dell’asino addosso, l’orca viene inseguita dal lupo e mangiata. 
Finalmente fuori pericolo, i due innamorati si recano nel regno del giovane principe, dove si sposano e vivono felici. 

La versione dei Grimm presenta alcune varianti. Innanzitutto, l’antagonista è una maga, la signora Gothel, e il cibo tanto bramato dalla madre è il raperonzolo. A raccogliere i raperonzoli e a parlare con la maga è il marito. È la maga a dare il nome alla bambina (Raperonzolo), e in questa versione la porta subito via con sé.
Un principe guarda a distanza il modo in cui la maga entra nella torre, e il giorno dopo, al tramonto, la imita gridando: 

“Oh Raperonzolo, sciogli i tuoi capelli
che per salir mi servirò di quelli!”

Grimm, J. e W.; Raperonzolo; “Fiabe del Focolare”

La ragazza, ignara, scioglie i capelli e si spaventa quando si accorge di avere davanti a sé non Gothel, ma uno sconosciuto. Presto i due scoprono di star bene insieme e si incontrano nella torre tutti i giorni, vivendo come marito e moglie. 
Eppure, Raperonzolo un giorno si tradisce, chiedendo alla maga come mai lei sia tanto più pesante da sollevare rispetto al principe. Così, Gothel le taglia le trecce e la porta nel deserto, costringendola a vivere miseramente. In quel luogo infausto, Raperonzolo mette al mondo due gemelli, un maschio e una femmina.
La sera in cui la ragazza viene portata nel deserto, Gothel fa in modo che le trecce pendano dalla finestra e rimane lì ad aspettare il principe. 
La maga gli dice che, per lui, Raperonzolo è perduta per sempre, e il giovane si getta dalla torre in preda alla disperazione. Sopravvive, ma perde la vista. 
Il povero innamorato comincia a vagare per i boschi, nutrendosi soltanto di bacche e radici, piangendo tutto il tempo. Cammina cammina, dopo diversi anni, arriva nel deserto in cui Raperonzolo vive di stenti con i suoi bambini. Riconoscendo la sua voce, due lacrime gli illuminano il viso e gli fanno recuperare la vista. 

Ci sono altri personaggi femminili che sono stati rinchiusi in una torre e spesso accostati a Raperonzolo: Persinette (Charlotte-Rose de Caumont La Force, Les Contes des Contes, 1698. Questa storia è successiva alla versione di Basile ma antecedente a quella dei fratelli Grimm); Puddocky (personaggio di un’antica fiaba tedesca che viene anche trasformato in rana); e Prezzemolina (di Italo Calvino; il nome della protagonista altro non è che la resa in italiano di Petrosinella. Questa storia è una rielaborazione della fiaba di Raperonzolo).

Frozen

I film e i cortometraggi di Frozen sono ispirati alla fiaba La regina delle nevi (1844) di Hans Christian Andersen
Alcune traduzioni meno recenti in italiano presentano il titolo interamente al singolare, La regina della neve. Questa traduzione è più fedele al titolo in lingua originale (Sneedronningen), in cui la parola “neve” è intesa al singolare. Tuttavia, la fiaba adesso è conosciuta unicamente come La regina delle nevi
È una storia molto lunga, divisa in sette parti. 

La prima parte ha inizio con il diavolo, che crea uno specchio in grado di far sparire o di deformare tutte le cose buone che riflette. Le cose brutte, invece, vengono messe in risalto dal suo potere. Anche i pensieri buoni, davanti allo specchio, si trasformano e diventano smorfie. Perciò, la sua invenzione lo diverte moltissimo. Nella sua scuola di magia comincia a correre voce che, grazie a quello strumento, si può capire come sono realmente gli uomini. Lo specchio fa il giro del mondo, e tutto viene deformato. 
Un giorno, i demoni decidono di portare lo specchio in cielo per prendersi gioco degli angeli e di Dio. Nel tragitto, lo specchio ride e trema così tanto che, a un certo punto, sfugge di mano e cade, rompendosi in miliardi di pezzi. Per quanto piccolo, ogni pezzo dello specchio ha conservato il suo potere. Così fa molto più danno di prima, perché alcuni pezzi sono piccoli come granelli di sabbia e, volando, entrano negli occhi della gente e le fanno vedere soltanto il lato peggiore delle cose. Altri pezzi dello specchio entrano nel cuore, che diventa di ghiaccio. 

Seconda parte 
In una zona povera di una grande città vivono due bambini che si vogliono bene come se fossero fratelli: Kay e Gerda. I loro genitori sono vicini di casa. 
In un giorno d’inverno particolarmente freddo, la nonna di Kay racconta loro che esiste una regina della neve, che secondo lei comanda uno sciame di api bianche ed è capace di far gelare tutto ciò che desidera. Quella notte, Kay vede fuori dalla finestra una donna fatta di ghiaccio, e l’indomani tutto è ghiacciato. 
Arriva l’estate e i bambini possono finalmente tornare a trascorrere il tempo fuori casa. Mentre sfogliano un libro, Kay ha una fitta al cuore ed è convinto che qualcosa gli sia entrato nell’occhio. Quel qualcosa è un pezzo dello specchio, e i due non riescono a rimuoverlo. Un’altra scheggia gli è entrata nel cuore. Il bambino, condannato alla malvagità, comincia a comportarsi in modo insolito: trovando le rose brutte perché storte e morsicate dai vermi, rovescia la cassetta che le contiene e ne strappa una, per poi scappare via. Acquisisce l’abitudine di prendere in giro tutti, di imitare i difetti della gente alla perfezione, e per questo viene considerato un ragazzo in gamba. 
L’unica cosa di cui Kay non riesce a vedere alcun difetto sono i fiocchi di neve: sono identici e perfetti, anche se si sciolgono. Gli viene dato il permesso di giocare con la slitta nella piazza grande, dove incontra nuovamente la regina delle nevi. Attratto dalla sua bellezza e dalla sua perfezione, Kay lega la sua slitta a quella della regina e va via con lei.  

Terza parte
Alcuni credono che Kay sia morto, e Gerda è disperata per la sua scomparsa. Così, decide di andare a cercarlo portando con sé un paio di scarpette rosse, un paio nuovo, che Kay non ha ancora visto. Si dirige verso il fiume e vi getta le scarpette, ma le onde le riportano verso la terraferma. Il fiume non può accettare quel pegno — la cosa più cara alla bambina — perché non è stato lui a prendere il suo amico e, quindi, non può restituirle ciò che cerca. Ma Gerda pensa di non averle lanciate abbastanza lontano e sale su una barchetta che si trova tra le canne; da lì, getta nuovamente le scarpette nel fiume. Per colpa di quel movimento, la barca (che non era legata bene) avanza verso il fiume. La bambina cerca di scendere, ma ormai è troppo tardi.
Una vecchietta, notando la barca, si avvicina per aiutare Gerda a scendere. La bambina racconta tutto alla vecchia, che la invita a casa sua e chiude la porta a chiave. Gerda mangia delle ciliegie buonissime e resta rapita dalle magie che la donna sa fare, dimenticandosi di Kay. 
Le due stanno insieme per un’intera stagione, e la maga vorrebbe tenerla con sé: per non far tornare in mente a Gerda il motivo per cui si è allontanata dal villaggio, fa sparire tutte le rose, ma si dimentica di averne una sul cappello. Quando la bambina vede il fiore, corre in giardino e piangendo nota che non c’è neanche una rosa. Il rosaio sepolto riappare grazie alle sue lacrime. 
Gerda chiede alle rose se Kay è morto, ma loro, che sono state sottoterra, affermano che è vivo, perché non l’hanno visto. 
Fa domande anche agli altri fiori, che non danno risposte: cantano solo le loro canzoni. 
Così, Gerda si rimette in viaggio per cercare il suo amico. È già autunno.

Quarta parte
Un giorno, Gerda incontra una cornacchia. Il pennuto è ben informato, e comincia a raccontare:

«In questo regno, dove ci troviamo ora, abita una principessa straordinariamente intelligente; legge tutti i giornali che ci sono al mondo e poi li dimentica di nuovo, tanto è intelligente. Un giorno, mentre sedeva sul trono, che non è una cosa molto divertente, si mise a canticchiare una canzone che diceva così: “Perché non dovrei sposarmi?.” – “Ecco è proprio un’idea!” esclamò, e così si volle sposare, ma voleva avere un marito che sapesse rispondere quando lei gli avesse rivolto la parola, uno che non se ne stesse lì fermo e ben distinto, perché è molto noioso. Allora riunì tutte le dame di corte e quando queste sentirono che cosa voleva, si dimostrarono molto contente. “Molto bene!” dissero “l’altro giorno pensavamo proprio a questo.” Puoi credere a ogni parola che ti dico!» soggiunse la cornacchia. «Ho una fidanzata addomesticata, che abita al castello, e mi ha raccontato tutto lei.»
La sua fidanzata era naturalmente anche lei una cornacchia; perché ogni cornacchia cerca il suo simile, che è una cornacchia.
«Subito uscirono i giornali con il bordo pieno di cuori, e con il simbolo della principessa; ci si poteva leggere che ogni giovane di bell’aspetto era libero di andare al castello e di parlare con la principessa, e chi avesse parlato completamente a suo agio, e meglio di tutti, sarebbe stato prescelto dalla principessa! Sì, sì» disse la cornacchia «puoi credermi, è proprio vero, come il fatto che noi stiamo qui; la gente accorreva, ci fu un gran movimento e una gran folla! Ma la faccenda non si risolse, né il primo giorno, né il secondo. Tutti sapevano parlare bene, quando si trovavano per strada, ma non appena entravano nel portone del castello e vedevano la guardia vestita d’argento e su per le scale e i valletti vestiti d’oro, e le grandi sale illuminate, allora si confondevano. Così si trovavano davanti al trono dove stava la principessa, e non sapevano dire nulla se non l’ultima parola che lei aveva detto, e a lei naturalmente non interessava risentirla! Era come se la gente lì dentro avesse ingerito del tabacco e fosse caduta in letargo, finché non usciva di nuovo sulla strada, allora sapeva parlare! C’era una fila che andava dalle porte della città fino al castello. Io stesso ero lì a vedere! […]
Era il terzo giorno quando arrivò una personcina senza cavallo e senza carrozza, che marciava ardita verso il castello, i suoi occhi brillavano come i tuoi, aveva lunghi capelli bellissimi, ma aveva vestiti molto poveri.»
«Era Kay!» gridò Gerda felice. «Ah, allora l’ho trovato!» e si mise a battere le mani.
«Aveva un fagotto sulle spalle!» aggiunse la cornacchia
«No, era certo lo slittino» spiegò Gerda «perché se ne era andato con la slitta.»
«È possibile» disse la cornacchia. «Io non ho guardato attentamente. Ma so dalla mia fidanzata che quando arrivò alla porta del castello e vide la guardia vestita d’argento e poi lungo le scale i valletti vestiti d’oro, non restò affatto imbarazzato: fece un cenno e disse: “Dev’essere noioso restare lì sulle scale, io preferisco entrare.” Le sale splendevano per le candele; i consiglieri e i ministri camminavano a piedi nudi e portavano vassoi d’oro: c’era di che restare imbarazzati! I suoi stivali scricchiolavano terribilmente, ma lui non aveva timore!»

Andersen, H. C.; La regina della neve

Gerda chiede alla cornacchia se lui e la sua fidanzata possono farla entrare a palazzo. Dal momento che lei non è ben vestita e non ha più le scarpe, le guardie vestite d’oro e d’argento non la farebbero mai entrare. La cornacchia promette che la aiuterà e vola via per studiare un piano. 
È notte. Le luci del castello si spengono. Le cornacchie conducono la ragazza fino alla stanza in cui dormono la principessa e il suo sposo. Gerda sveglia il principe e presto scopre che non si tratta di Kay. Piangendo, racconta di come ha perso il suo amico e di com’è arrivata fin lì, dell’aiuto ricevuto dai due uccelli. Per premiare la lealtà delle cornacchie, il principe e la principessa offrono loro un incarico fisso a corte.
Il giorno dopo, anche alla ragazza viene proposto un incarico a corte, ma lei chiede un paio di stivaletti nuovi e una carrozza con un cavallo per tornare a cercare Kay. La cornacchia, ormai sposata, la segue. Sua moglie lo attende a palazzo perché soffre di mal di testa. 

Quinta parte
Attraversando i boschi scuri, la carrozza brilla come una fiamma e i briganti non riescono a sopportarne la vista; perciò, uccidono i valletti, prendono i cavalli e tirano fuori Gerda dalla carrozza con l’intenzione di mangiarla. 
La figlia del brigante, una bambina viziata e capricciosa, pretende di giocare con Gerda e di andare con lei in carrozza. La sua ostinazione salva Gerda da morte certa, ma dopo aver ascoltato la storia di Kay e del viaggio compiuto, la figlia del brigante decide che la ammazzerà. 
La ragazza è costretta a dormire con la sua carnefice e con gli animaletti che possiede davanti a un pentolone che bolle sul fuoco. La bambina si è addormentata con il coltello puntato su Gerda.
I colombi della figlia del brigante, riascoltando il suo racconto, le dicono che Kay è con la regina delle nevi, quasi sicuramente in Lapponia, perché lì fa sempre molto freddo.
Tra gli animali imprigionati c’è anche una renna, che è cresciuta in Lapponia. La figlia del brigante si è affezionata a Gerda (a modo suo), perciò ordina alla renna di tornare in Lapponia e di portare la ragazza con sé per condurla al castello della regina delle nevi. 
Quando la mamma si mette a dormire, Gerda e la renna si congedano.

Sesta parte
I due viaggiatori arrivano in Lapponia, dove incontrano una vecchia donna che abita in una casa caldissima e piccolissima. Li informa che la regina delle nevi è in vacanza in Finlandia, e una volta arrivati lì potranno rivolgersi a una donna che darà loro le indicazioni per arrivare al castello. 
Mentre Gerda e la renna si rifocillano, la vecchia srotola una vecchia pelle e legge i caratteri scritti all’interno. La renna ha chiesto che la sua amica abbia la forza di dodici uomini per affrontare la regina delle nevi. Grazie al rotolo di pelle, la vecchia scopre il motivo per cui Kay abita nel castello ghiacciato: avendo un granellino di vetro in un occhio e uno nel cuore, quello è l’unico posto in cui tutto gli sembra perfetto. Inoltre, lei non può darle una forza più grande di quella che ha già: per ritrovare il suo amico, ha parlato agli animali, ha affrontato centinaia di pericoli, ha attraversato il mondo sulle sue gambe. L’unica forza di cui ha bisogno è quella che già possiede, e si trova nel suo cuore. Se lei non riesce a rimuovere i pezzi di vetro dal corpo di Kay, nessun altro può. 
La vecchia spiega che a due miglia da lì c’è il giardino della regina delle nevi. La renna deve portare Gerda fino a un cespuglio di bacche rosse che si trova in mezzo alla neve. 
I due vengono subito spediti al giardino, ma nella fretta Gerda si dimentica i guanti e gli stivali, e inizia a tremare per il freddo. Una volta giunti fino al cespuglio, la renna fa scendere la ragazza dal suo dorso, la bacia e va via piangendo. 
Gerda cammina e osserva i fiocchi di neve, che non cadono dal cielo, ma si spostano sul suolo. Più si avvicinano, più diventano grandi, e assumono la forma di grossi animali: i fiocchi di neve sono vivi e proteggono il castello.
La ragazza recita il Padre Nostro, e una schiera di angeli corre in suo soccorso per spezzare i fiocchi di neve e lasciarle libero il passaggio. Alcuni le toccano i piedi e le mani perché lei senta meno freddo. Così, Gerda può avanzare.

Settima e ultima parte

Le pareti del castello erano formate dalla neve che cadeva, le finestre e le porte dai venti che soffiavano; c’erano più di cento saloni, secondo la forma che prendeva la neve caduta; il più grande si allungava per molte miglia, tutti erano illuminati dall’aurora boreale e erano grandi, vuoti, gelati, luminosi. L’allegria non arrivava mai, mai c’era stato un ballo di orsacchiotti dove la tempesta potesse intonare la musica, e gli orsi camminare sulle zampe posteriori e comportarsi in modo distinto, mai c’erano stati giullari che facessero ballare gli orsi polari; mai una riunione per bere il caffè con le bianche signore volpi, tutto era vuoto, enorme e gelato nelle sale della regina della neve. Le aurore boreali brillavano con tanta regolarità che si poteva addirittura calcolare quando brillavano della luce più potente e quando della luce più debole. Proprio in mezzo a una sala di neve vuota e enorme si trovava un lago ghiacciato; era infranto in mille pezzi, ma ogni pezzo era identico all’altro, e era una vera opera d’arte. Proprio lì sopra stava seduta la regina della neve quando era a casa, così diceva che sedeva sullo specchio dell’intelligenza, e che quello era l’unico e il miglior posto del mondo.

Andersen, H. C.; La regina della neve

Kay non avverte più il freddo grazie a un bacio della regina delle nevi, ma è viola e il suo cuore è simile a un grumo di ghiaccio. Il ragazzo sta cercando di formare delle figure con il ghiaccio. Se riuscirà a comporre la parola “eternità”, la regina lo lascerà libero regalandogli il mondo intero e un paio di pattini nuovi.
La regina delle nevi si separa da lui per andare a imbiancare i paesi caldi; così, quando Gerda lo trova, i due sono soli. Lei corre ad abbracciarlo, ma lui rimane rigido e immobile. Gerda comincia a piangere. Le lacrime gli riscaldano il cuore, corrodendo il pezzetto di specchio che ha nel petto. Anche Kay scoppia in lacrime, e piange tanto da liberarsi del granellino di vetro nell’occhio. 
I due amici cominciano a ballare per la gioia, e i pezzi di ghiaccio con loro, formando la parola che serve a liberare Kay. Adesso, ormai adulti, possono tornare a casa. 

Big Hero 6

Big Hero 6 è la trasposizione cinematografica di una miniserie di fumetti Marvel edita per la prima volta nel 1998 con il titolo Sunfire & Big Hero 6. Dieci anni dopo è nata un’altra miniserie, nota semplicemente come Big Hero 6. 
I protagonisti di questi fumetti sono: Baymax, Ebon Samurai, GoGo Tomago, Hiro Takachiho, Sunfire e Honey Lemon.
Tutti i fumetti che compongono le serie di Big Hero 6 sono inediti in Italia

 

Oceania

Questo film Disney è liberamente ispirato ad alcune leggende polinesiane. 
Il personaggio di Maui richiama l’omonimo semidio della mitologia Maori. In Oceania è stato rappresentato come un orfano, ma nelle leggende che lo riguardano non lo è. Maui ha un amo magico con cui ha creato le isole che compongono la Polinesia. Secondo alcuni miti, l’Isola del Nord era un pesce che il semidio ha pescato con l’amo magico e trasformato in isola. 
Le culture del Pacifico considerano i Kakamora delle creaturine che abitano le caverne e le foreste. Sono delle piccole personificazioni di Madre Natura, proteggono le foreste e non gradiscono gli umani (tanto più che in alcune storie si nutrono dei loro corpi).
Lo scontro finale tra Vaiana e Te Ka simboleggia l’eterno contrasto tra acqua e fuoco, rappresentati nella mitologia Maori da Namaka (dea dell’oceano) e Pele (dea del fuoco e della lava). Le leggende hawaiane dicono che l’acqua ha sconfitto il fuoco dopo secoli di lotta, ma alcuni ritengono che le due dee continuino a combattere tuttora.

 

Questo modesto lavoro di ricerca vuole essere uno spunto di riflessione e un invito a non
smettere mai di leggere, di essere curiosi, di informarsi. Come scrisse Umberto Eco:

I libri parlano sempre di altri libri e
ogni storia racconta una storia già raccontata.

Libri e siti consultati

www.grimmstories.com, titoli: “Biancaneve”, “Cenerentola”,  “Rosaspina”, “Il Principe Ranocchio o Enrico di Ferro”, “Raperonzolo” (ultima consultazione: 18/04/2020)
www.historyvshollywood.com; “Saving Mr Banks” (ultima consultazione: 15/04/2020)
poesie.reportonline.it; “Alberi”, Kilmer, J. (ultima consultazione: 15/o4/2020)
Il vento tra i salici“, Grahame, K.; Mondolibri, 2014
www.nomix.it (ultima consultazione: 14/04/2020)
www.focusjunior.it; “Quali sono le dodici fatiche di Ercole?” (ultima consultazione: 14/04/2020)
www.theculturetrip.com; “The Real Maori and Pacific Legends That Inspired Disney’s Moana” (ultima consultazione: 14/04/2020)
www.andersenstories.com, titoli: “La Sirenetta”, “La Regina della Neve”  (ultima consultazione: 10/04/2020)
www.wikisource.org, titoli: “La Bella e la Bestia”, Leprince de Beaumont, J.-M.”Lo cunto de li cunti”, Basile, G., “Aladino o La Lampada Meravigliosa”, Galland, A, “Henny Penny”, “Persinette”, de Caumont de La Force, C.-R., “Origins of Disney Films” (ultima consultazione: 10/04/2020)
www.docsity.com, titoli: “Prezzemolina”, Calvino, I (ultima consultazione: 10/04/2020)
www.riflessioni.it, titoli: “La Bella e la Bestia”, Perrault, C. (ultima consultazione: 28/03/2020)
fiabe.fandom.com, titoli: “Il montone”, D’Aulnoy, M.-C. (ultima consultazione: 28/03/2020)
www.treccani.it, voci: “Positivismo”, “Mabinogion”, “Imperialismo”, “Mille e una Notte”, “Rudyard Kipling” (ultima consultazione: 28/03/2020)
www.bbc.co.uk; “British History in depth: Robin Hood and his Historical Context” (ultima consultazione: 27/03/2020)
www.letturegiovani.it, titoli: “La Bella Addormentata”, Perrault, C. (ultima consultazione: 26/03/2020)
“La Tempesta”; S. W., Mondadori, 2019
“La Belle et la Bête”; Leprince de Beaumont, J.-M.; The Planet, 2013
“La Belle et la Bête”; Barbot de Villeneuve, G.S.; Gallimard, 2010
“Notre-Dame de Paris”; Hugo, V., Biblioteca Universale Rizzoli, 2016
“Amleto”; Shakespeare, W., Giunti Editore, 2015
“Rosencrantz e Guildenstern sono morti”; Stoppard, T., Sellerio editore Palermo, 1998
“Bambi. Storia di una vita del bosco”; Salten, F., Il battello a vapore, 2016
“Alice nel paese delle meraviglie”; Carroll, L., Newton Compton Editori, 2019 (consultata anche la prefazione di Faini, P.)
“Attraverso lo specchio”; Carroll, L. Newton Compton Editori, 2019 (consultata anche la prefazione di Faini, P.)
“Peter Pan”; Barrie, J. M., Fanucci Editore, 2013
Wikipedia (ultima consultazione: 30/04/2020)

 

 

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