Avenges: Age of Ultron, al cinema dal 22 Aprile, è un esatto e preciso sequel delle avventure narrate in Captain America: The Winter Soldier e un calzante prosieguo delle vicende di Agents of S.H.I.E.L.D., con la firma di un regista che lascerà poi il posto ai fratelli Russo, pronti a raccontare Captain America 3 e gli ultimi due capitoli di Avengers.
Una pausa e poi la ripartenza: Joss Whedon tra un Avengers e un altro ha rilassato i muscoli, raffinato i sensi e temprato la mente con un adattamento di Shakespeare in chiave moderna, con il suo Much Ado About Nothing, per poi tornare a mostrare gli artigli, a mettere in mostra i suoi poteri.
La missione che vede gli Avengers impegnati sin dalla fine del primo film continua nel tentativo di recuperare lo scettro di Loki, arrivando fino alla base segreta del Barone von Strucker, intento a compiere numerosi esperimenti per la realizzazione del soldato perfetto, un emulo di Captain America. Il rifugio dell’antagonista di turno è il chiaro Forte di Bard di Aosta, dove d’altronde è noto che Whedon ha trascorso diversi giorni per le riprese della pellicola per collocarvi la fittizia Sokovia, una nazione che il Barone sta cercando di assoggettare inesorabilmente. La vicenda legata a von Strucker non è altro che un prologo per una situazione di ben più ampio raggio, che vede nel plot twist la comparsa anche dei gemelli Pietro e Wanda Maximoff, noti con i nomi di Quicksilver e Scarlet Witch, a loro volta pronti a vestire i panni di causa scatenante delle vicende che daranno vita a Ultron. Va da sé che la continuity e la fedeltà con il prodotto Marvel è abbastanza rivisitata, a partire dalla creazione dell’antagonista di turno, che stavolta è figlio della cupidigia e della ubris di uno degli Avengers: nonostante ciò, però, Age of Ultron mette in risalto un aspetto fondamentale, che trasmette il senso di sequel che è proprio del secondo film. L’affiatamento e l’intesa tra il gruppo è oramai acclarato, non c’è più bisogno di lottare o di perdere tempo e battute per raccontare il modo in cui il sottotesto dei Vendicatori va ad intrecciarsi per riunirsi sotto un unico ideale ed egida.
Proprio nell’elaborazione dei personaggi Whedon riesce a offrire un bilanciamento notevole, scompensato soltanto dalla necessità di rivincita di alcuni dei protagonisti, che nel primo film non hanno avuto gli onori della cronaca: tra questi sicuramente Occhio di Falco insieme con la Vedova Nera, che hanno la possibilità di vedere allargati e potenziati i rispettivi subplot, probabilmente troppo smielati, ma che comunque trasmettono un senso di normalità e di vicinanza al nostro mondo da parte di persone che di umano hanno sempre meno. Gli equilibri, quindi, vengono mantenuti dalla casa in campagna che fa da contrasto dalla distruzione operata da Hulk, dai congegni informatici di Tony Stark e dal martello di Thor, che dà vita, di per sé, a una scena esilarante che sa tantissimo di Disney e sa poco di Marvel. Ma d’altronde la sinergia non è più una novità, né stona. Con più personaggi a schermo – gli standard più gli aggiunti gemelli Maximoff, Visione e Ultron – è necessario analizzare più storie e sviluppare più subplot e forse in questo Whedon si perde e prolunga eccessivamente le vicende, rischiando di essere ridondante.
Proprio questo è uno dei principali problemi di Avengers: Age of Ultron, che sovente – troppo spesso – diventa autocelebrativo. Se, infatti, la scena iniziale è uno spettacolo per gli occhi e per le capacità cinematografiche di Whedon e la sua troupe, nel prosieguo le continue proposte avanzate al pubblico con scontri e battaglie risultano troppo eccessive, soprattutto per quelle che potevano essere semplicemente evitate, arrivando prima allo scontro definitivo. Non stona, invece, il personaggio di Ultron, così come non lo fa Visione: entrambi sono prodotti di un lavoro di scrittura eccellente, con il primo che rappresenta una metafora perfettamente riuscita di Pinocchio, tra l’altro anche citato in una delle ultimissime scene del film, e il secondo, invece, vestito con i panni di giudice terzo delle vicende umane, solenne e splendente, con la gemma dell’infinito incastonata nel cervello e un mantello che lo rende giusto, così come le sue capacità. Whedon si diverte a costruirli entrambi, andando in piena libertà a raccontare tutti i personaggi che gli girano intorno, disegnando le combo tra Captain America e Thor o anche il combattimento tra Iron Man e Hulk, momenti di spettacolarità action.
Avengers: Age of Ultron riesce a unire, insomma, diversi aspetti: allo sviluppo e allo spessore dei personaggi offerti – dei quali pochissimi sono poco sviluppati, ma per necessità di tempo – riesce a coadiuvare degli effetti speciali e dell’azione degna del genere, così da combinare perfettamente le necessità del grande pubblico, desideroso sì di azione ed effetti speciali, ma anche di un’evoluzione di quei personaggi che hanno reso grande la Marvel. Con meno ridondanza e con meno autocelebrazione staremmo parlando di un film migliore del primo, che resta, però, a confronto, più pregno di colpi di scena e di momenti innovativi, compresi quelli tristi. Perché anche a paragone di eroi caduti nel primo c’era molto più da soffrire e da intristirsi rispetto ad Age of Ultron.